Babysitter, tata, nanny o un più desueto bambinaia sono tutti sinonimi di una figura familiare che sempre più spesso rappresenta l’alter ego e la fidata alleata di mamme e papà. C’è chi la cerca sportiva, chi la vorrebbe materna, chi più Mary Poppins e chi invece un po’ più Signorina Rottermeier. Tutte hanno un denominatore comune: dal 2017 costano di più.
L’ultimo rapporto annuale sull’analisi delle tariffe delle babysitter in Italia pubblicato dal sito Yoopies.it evidenzia infatti un aumento vertiginoso rispetto agli anni precedenti. La tariffa media oraria richiesta in Italia dalle babysitter è 8,34 €, rispetto ai 7,46 € del 2016. C’è stato un aumento del 10,55%, ma anche sensibili disparità tra Nord e Sud che registrano una differenza di circa 17%. Le regioni più care sono la Valle d’Aosta (9,00 €), la Basilicata (7,38 €) e la Sardegna (8,29 €), le più economiche il Molise (7,32 €), la Campania (7,23 €) e la Puglia (6,96 €). La babysitter più cara si trova a Ventimiglia e ha un costo orario di ben 10,58 €.
Ma da cosa nascono queste disparità? Gabriella da Formia, la città dove le tariffe delle babysitter sono le più basse d’Italia (7,25 € all’ora) risponde ironicamente che “Al sud le babysitter costano meno perché c’è la concorrenza delle nonne!”
“In realtà, uno dei fattori che spiega l’aumento smisurato delle tariffe – osservano da Yoopies.it, start-up europea nata nel 2012 e specializzata nella ricerca di babysitter online – è il fatto che i genitori sono diventati più esigenti e quindi ricercano delle babysitter più preparate che conoscono, per esempio, più lingue straniere. E chi dice più preparate, dice più care.”
Come possono fare allora i genitori equilibristi a trovare soluzioni alla portata di famiglia e di portafoglio? Da quest’anno i genitori possono accedere ad aiuti concreti promulgati dal Governo, nel caso al posto della babysitter scelgano l’asilo. Ultimo, in ordine temporale, il bonus asilo. Nell’ambito degli interventi normativi a sostegno del reddito delle famiglie, ai figli nati o adottati dal 1° gennaio 2016 spetta un contributo di massimo 1.000 euro, a cui si può avere accesso senza limiti di reddito, per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati e di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche. Il premio è corrisposto direttamente dall’INPS e le domande possono essere presentate dal genitore fino al 31 dicembre. Per poter usufruire del contributo, il requisito fondamentale è attestare l’iscrizione al nido. Il bonus per le forme di supporto presso la propria abitazione viene invece erogato dall’Istituto a seguito di presentazione da parte del genitore richiedente di un attestato rilasciato dal pediatra di libera scelta che attesti per l’intero anno di riferimento “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica”.
Oltre a questo aiuto esistono anche il bonus bebè – l’assegno di natalità mensile destinato alle famiglie con un figlio nato, adottato o in affido preadottivo tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 e con un ISEE non superiore a 25.000 euro – e il bonus mamma domani – il premio alla nascita di 800 euro riconosciuto per tutti i bambini nati o adottati nel 2017 oppure in caso di gravidanza. Il bonus è riconosciuto a tutte le neomamme, anche extracomunitarie purché in Italia da almeno cinque anni.
In alternativa al congedo parentale c’è inoltre un nuovo strumento per la madre lavoratrice che può richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli 11 mesi successivi, un voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting oppure un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi. Tale beneficio è stato prorogato anche per il biennio 2017-2018 ed è rivolto sia alle lavoratrici dipendenti e iscritte alla Gestione separata (nel limite di spesa di 40 milioni di euro per ciascuno dei due anni) sia alle lavoratrici autonome e imprenditrici (nel limite di spesa di 10 milioni di euro per ciascuno dei due anni