In cinese si dice “Sheng Nv”. In italiano si traduce zitella. Secondo l’ufficialissimo Rapporto sulla lingua cinese del Ministero dell’Istruzione di Pechino, redatto nel 2007, si definiscono sheng nv tutte le donne oltre i 27 anni di età che ancora non si sono sposate. Eppure, oggi più che mai sheng nv dovrebbe essere declinato al maschile. Addio zitelle: grazie a decenni di scriteriata politica del figlio unico, oggi in Cina l’allarme è per gli uomini single. Su 1,36 miliardi di persone le donne sono 667 milioni, gli uomini 700. Significa che sparsi per le campagne del Dragone ci sono 33 milioni di maschi alla disperata ricerca di una moglie. Trentatré milioni di zitelli, insomma.
E’ subdola, la rivincita delle donne cinesi. Prima costrette ad abortire, se il primogenito – nonché unico erede – non era un maschio, e ora corteggiatissime perché merce rara. Non solo: l’Altra-metà-del-cielo, come la chiamava Mao, oggi è anche più recalcitrante che mai a dedicarsi alla famiglia e ai figli, anziché godersi la vita da single e fare carriera. E così, il numero dei cinesi zitelli sale ulteriormente.
Nel 2016, raccontano i dati dell’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, in Cina la proporzione tra maschi e femmine tra i nuovi nati era di 115,88 su 100, a fronte di una media mondiale di 107 su 100. All’occhio esperto degli statistici, questo che a noi umani sembra solo un piccolo scarto è una voragine pericolosissima. E meno male che i dati cinesi sono migliorati: solo qualche anno prima il rapporto maschi-femmine era addirittura di 122 a 100. Cosa ha prodotto l’inversione di tendenza? La parziale fine della politica del figlio unico: le coppie dove almeno uno dei due genitori è figlio unico, ha stabilito il governo, potranno liberamente avere anche due figli. Peccato che l’editto sia del 2013: prima che se ne vedano gli effetti sugli zitelli della Cina, dovranno passare come minimo una quindicina di anni.
La solitudine dei maschi cinesi pesa tanto in campagna, dove non ci sono donne per tutti, quanto in città, dove le donne single ci sono: solo che non si vogliono sposare. Shanghai, per esempio, pullula di 30-35enni in carriera, ben istruite, ben pagate e assolutamente intenzionate a non cambiare stile di vita. Già dal 2006 le cinesi iscritte all’università hanno superato il numero dei colleghi maschi. Secondo l’ultima edizione del Global Gender Gap la Cina (pur 99esima nella classifica generale della parità uomo-donna) è prima al mondo per numero di studentesse iscritte all’università e per percentuale di professioniste nelle discipline tecniche.
In compenso, a Pechino i matrimoni continuano a calare: nel 2015 sono scesi del 6,3%, che fa seguito a un calo del 9% nel 2014. Mentre aumentano i divorzi: quest’anno nelle città cosiddette di prima fascia, ovvero nelle grandi metropoli cinesi della costa orientale come Shanghai o Shenzhen, sono cresciuti del 30%. La Lunga marcia delle donne cinesi è cominciata: chi ha davvero paura della solitudine, oggi in Cina?