Sarebbe forse giusto dedicare questo spazio all’ultimo dei lavori di Daniel Pennac, che riprende il filo del discorso interrotto alla fine degli anni Novanta e torna in libreria con “Il caso Malaussène. Mi hanno mentito” (edito da Feltrinelli). Ma in realtà non sarà così. Questo post nasce da un’esperienza singolare vissuta durante il salone del libro di Torino dove Pennac ha gironzolato per un paio di giorni tra incontri con i suoi lettori, presentazioni e interviste. Bene. In agenda aveva anche un incontro inserito dal Salone tra i “Professionali”. Una piccola sala del Lingotto piena di insegnanti. Tutti insegnanti, Pennac compreso.
Ne è venuta fuori una meravigliosa lezione sulla lettura. Sulla capacità di indurre nei più giovani l’amore per la lettura. Mettiamo da parte per un attimo il Pennac del ciclo di Malaussène e spalanchiamo la porta al Pennac scrittore per l’infanzia. “L’occhio del lupo è il mio libro preferito” dice Pennac. Lo aveva raccontato durante una intervista in tv, qualche anno fa, lo ha ripetuto a Torino in quell’occasione.
“Non c’è differenza tra scrittura per ragazzi e adulti” ha esordito Pennac. Non c’è una differenza tematica, ha specificato, semantica e grammaticale invece si. L’occhio del lupo (edito in Italia da Salani) “è una storia di immigrazione e di perdita dell’identità, del paese di origine, della famiglia” racconta Pennac. “In questo racconto c’è una tematica adulta, ma scritta per i bambini“. L’attualità entra con prepotenza sulla scena. Pennac prende posizione e cita, non a caso in un Paese frontiera come il nostro, l’esperienza dell’associazione SOS Mediterranee: “Salva le persone che annegano nel Mediterraneo e che arrivano dal dolore dell’Africa e del Medio Oriente – dice – ma queste persone si scontrano con il fantasma dell’invasione usato dall’estrema destra, che sostiene una politica di esclusione. Quando scrivevo L’occhio del lupo stavo trattando questo tema, la situazione non era diversa da quella di oggi“.
E incalza: “La capacità dei bambini di affrontare certi problemi è una questione centrale per gli insegnanti. Questo è il nodo educativo. Da insegnante leggevo sempre ai ragazzi libri per adulti. In Italia avete libri che fanno urlare di paura, come “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino. Quando lo leggo ai ragazzi in Francia ne sono incantati“.
Il segreto della lettura per i ragazzi. Un segreto c’è.
“Il verbo leggere non sopporta l’imperativo” riprende Pennac. Come i verbi amare e sognare. “Mai abbiamo applicato su noi stessi la forma dell’imperativo per la lettura. E’ il desiderio che ci spinge alla lettura, come per l’amore. E alla lettura ci abbandoniamo, come per il sogno“. Ecco la formula di Pennac, insegnante e scrittore di culto. “La lettura va sdrammatizzata. Quando noi eravamo piccoli ci vietavano di leggere. ‘Vai fuori a giocare, che a leggere troppo ti fanno male gli occhi’. Oggi siamo nel regime dell’obbligo di leggere. Inconsciamente, lo viviamo come un atto scolastico“. Spesso accompagnato, aggiunge Pennac, dall’ossessione della valutazione. “Cercate di immaginare che lettori saremmo se avessimo qualcuno che vuole valutare la nostra capacità di comprensione…”.
La lettura è un “piacere segreto”. “Quando siamo immersi in un libro di Pessoa viviamo la stessa inquietudine dell’autore, siamo immersi e attraversiamo la nebbia che lui descrive. Non capiamo cosa sta accadendo, ma ci sentiamo bene. Se ci fosse qualcuno dietro di noi la nostra gioia, il piacere della lettura sarebbe ‘fottuto’, perso”. Quello che un insegnante deve condividere non è la cultura ma “il desiderio della cultura”. Su questo punto Pennac apre ad un’immagine precisa, un ricordo: “La felicità di leggere per me è l’immagine di mio padre con la pipa davanti al fuoco. Quando leggeva era così immerso che a me veniva voglia di aprire quella porta. C’è una fisiologia del lettore, io ho iniziato ad amare la lettura per imitare i gesti di mio padre. Lui lasciava Thomas Hardy e Dostoevskij in giro…non c’è altro modo per spingere i giovani a leggere se non ispirando il desiderio di leggere“.
E allora ecco una sezione-tipo di Pennac insegnante alle prese con la lettura: “Entrato in classe chiedevo a chi non piaceva leggere. Molte mani erano alzate, alcune anche in malafede, per il gusto di destabilizzare l’insegnate“. Nessuno vuole leggere? chiede Pennac, “bene, allora leggo io“. “Noooo” rispondevano in coro. “Prendevo il testo – continua – e chiedevo loro di mettersi comodi, come volevano. Non fate rumore, la mia richiesta, e poi cominciavo. In realtà in quel momento facevamo altro dalla lettura, stavamo facendo un esercizio inconscio di abbandono di noi stessi. E se qualcuno dei ragazzi si addormentava per me era un segnale positivo, del piacere e dell’abbandono che la lettura provoca“. Un abbandono ricettivo, così la definisce Pennac. La lettura è un “abbandono ricettivo”, un regalo, non un esercizio per la valutazione.
Una lezione importante.