Lasciare un’impronta positiva indelebile negli occhi e nelle sensazioni del proprio interlocutore. E’ l’aspirazione di ognuno di noi che si trovi di fronte un partner, un familiare, un collega, un superiore o, nel caso di una personalità, il proprio pubblico, il proprio elettorato, i propri fan. E per essere incisivi la maggior parte di noi, nella vita privata e professionale, si affida alle “parole giuste”. Ma quello che davvero comunichiamo agli altri non è visibile: la comunicazione che non ha a che fare con le parole è quella che sembra contare di più. Il nostro corpo, come ci muoviamo, come sorridiamo, come gesticoliamo, come occupiamo lo spazio, le espressioni facciali, il tono della voce: il body language veicola molto di più di quello che vorremmo dire, a volte.
La consapevolezza del proprio linguaggio non verbale, quindi, è un passo fondamentale per una comunicazione efficace e congruente. Ma si può andare oltre: è la consapevolezza di quella che in gergo teatrale viene definita “presenza scenica” e dell’uso cosciente delle energie. Nella mia esperienza ultra ventennale sul palco e nel lavoro a fianco di grandi comunicatori, anche all’interno del mondo aziendale e del business, sono stata portata necessariamente a lavorare sulla qualità delle energie, a studiare le persone in modo olistico. E l’osservazione di personaggi noti e del loro modo di porsi può aiutare, da un lato, a comprenderne meglio la personalità, dall’altro a capire qualcosa in più sull’immagine che noi stessi diamo all’esterno.
Non tutto è lasciato alle doti naturali, soprattutto per le celebrità e i personaggi pubblici, che spesso assumono un coach che possa aiutarli a gestire la propria visibilità e la propria capacità comunicativa. Il lavoro sul body language può essere quindi ampiamente preparato in anticipo, le performance sono ben studiate, poiché l’immagine (intesa come tutto ciò che di loro appare) esprime la maggior parte della loro comunicazione e viene colta prima delle loro parole. E l’impressione che si vuole lasciare negli altri, naturalmente, non è sempre la stessa: cambia con il ruolo, la circostanza, le responsabilità. Ne è un esempio perfetto l’evoluzione di Hillary Clinton. Prendiamo questo video del del 1993 (fino al minuto 3.43)
Hillary Clinton si pone in un modo estremamente delicato, a volte potremmo dire suadente, la voce è calma, i gesti indicano in ogni istante “sono una brava ragazza, tengo le mani davanti, a posto, io non sono il Presidente, sono sua moglie, non “mi allargo” (..al contrario, quando vogliamo conquistare lo spazio noi ci espandiamo anche fisicamente, come gli animali).
Hillary sorride e cerca di coinvolgere l’intervistatrice protendendosi in avanti, e quando, per un istante, diventa quasi civettuola, ritraendosi, poi si ricompone subito e ricostruisce l’immagine di giovane signora calma e “per bene”. Credo ci sia una sua naturale predisposizione ma anche uno studio, dietro questa modalità. E dal minuto 2.28, quando è accanto al Presidente, il corpo è per tre quarti rivolto verso di lui, lo fa entrare addirittura nel proprio spazio, cancella un po’ di sé: sa perfettamente come utilizzare al meglio la propria presenza per valorizzare e, quindi, attribuire più potere, più spazio al marito.
Ma eccola in una delle molte interviste del 2017 prima del risultato elettorale:
Le prime cose che ci colpiscono di Hillary Clinton candidata sono il volume della voce, più alto, e il ritmo più veloce, a sottolineare un’agenda piena, poco tempo ma molta concentrazione, indicata anche da un frequente annuire con il capo. Si vede che c’è un lavoro con un coach perché lei mostra di ascoltare attentamente, annuisce e poi risponde: comprendo, penso e poi esprimo la mia opinione, che è quella giusta. Il corpo è in posizione composta, non c’è spreco di energia: forse c’è un eccessivo annuire che la rende un po’ innaturale, ma, complessivamente, il risultato lo ottiene.
Quando si fa attività di coaching a un politico è fondamentale creare l’illusione che sia conosciuto e stimato da molti, e questo che osserviamo è un esempio molto chiaro perché Hillary Clinton crea un rapporto di stretta connessione con l’intervistatrice, stabilisce da subito confidenza pur mantenendo il suo ruolo, crea un clima di fiducia che porta gli ascoltatori a dire: “Lei sta parlando con un’estranea e in poco tempo sono diventate intime, potrebbe quindi diventare anche mia amica”. Nello stesso tempo, però, lo spettatore nota che Hillary Clinton sa mantenere il giusto distacco ed è inconsciamente spinto a pensare: “lei è una forte, sa quello che dice, può essere la mia Presidente”. Complessivamente, questa combinazione di accessibilità e rassicurante compostezza risulta essere molto efficace (anche se altri indizi, in un esame più approfondito del body language, potrebbero rivelare alcune sue fragilità).
Il coach però non può essere presente in ogni momento per suggerire e correggere, né è possibile avere un pieno controllo delle microespressioni e di ogni singolo gesto: è il singolo che deve identificare le proprie debolezze e i propri punti di forza e su questi fare un lavoro di studio e costruzione. E’ un investimento notevole di tempo e risorse, ma permette di fare la differenza e creare un impatto profondo e permanente. Conoscere di più noi stessi, in tutte le nostre espressioni: questo ci permetterà, poi, di comprendere meglio anche gli altri. Ecco, forse, il primo segreto.