La fine delle lezioni si avvicina. È tempo di esami. Durante il mio Erasmus in Scozia, i miei compagni (quelli italiani) mi prendevano in giro perchè preparavo gli esami di Political Science con il walkman (reperto archeologico, il walkman!) sul tavolo e in cuffia a ripetizione l’album “D’amore di morte e di altre sciocchezze” di Francesco Guccini. «Ma come fai a concentrarti, tutte quelle parole nelle orecchie non ti confondono?». Semplice, dicevo io: le so talmente a memoria che è come non sentire nemmeno una parola. E poi i libri su cui studiavo erano in inglese, mentre Guccini cantava in italiano: nessuna contaminazione. Vent’anni dopo, mi imbatto nelle riflessioni di James Hewitt dell’Hintsa Performance e scopro che, a modo mio, avevo ragione.
Dice Hewitt: la capacità di concentrarsi si basa su tre abilità. La prima: focalizzare quale è la cosa più importante che dobbiamo fare in quel momento, escludendo tutti gli altri pensieri laterali. Se devo finire la relazione, per esempio, è bene che non mi interroghi contemporaneamente su quale sarà il film migliore da proporre per la serata. La seconda: trasformare ogni intoppo, in quello che sto facendo, da una occasione per mollare e distrarmi a una per imparare qualcosa di più. La terza: eliminare ogni forma di distrazione proveniente dall’ambiente circostante. Un rumore, una persona, una vista (della finestra, o della scrivania a fianco).
Eliminare le distrazioni, appunto. Ecco a cosa può servire la musica: a farci concentrare meglio. Purché si scelga la musica giusta.
Prendiamo un lavoro ripetitivo. Per questo vale lo stesso principio degli esercizi aerobici in palestra: una bella musica ritmata è quel che ci vuole. Se invece la vostra è un’occupazione che richiede una certa dose di creatività manuale (ma non troppo intellettuale), allora il sottofondo giusto è quello della musica ambient. Una musica da ascensore, per intendersi.
Veniamo a chi deve scrivere: una relazione, il testo della lezione da fare a scuola, l’ordinazione per un fornitore. Qui gli esperti concordano tutti nel suggerire una musica priva di testi. Le liriche distraggono, anziché favorire la concentrazione. L’ideale è un brano di musica classica.
Eccoci finalmente al caso di chi ha bisogno di focalizzare l’attenzione su un tema specifico. Il mio caso, di studentessa di Scienze politiche in Scozia. Avevo ragione, a scegliere Guccini: secondo gli esperti, per questa operazione è adatta una musica soft, ma soprattutto una musica che sia familiare. Nota e stranota. Talmente conosciuta da non fare nemmeno più caso a quello che si sta ascoltando veramente. (Appassiscono piano le rose spuntano a grappi i frutti del melo le nuvole in alto van silenziose negl strappi cobalto del cielo: me la ricordo ancora oggi, inclusa la vista del giardino della Library che si godeva dalla mia scrivania di studente).
All’ultimo gradino della scala gerarchica dell’impegno intellettuale Hewitt mette l’apprendimento vero e proprio, la capacità di assorbire nuove informazioni. Per questo genere di attività, cioè la fase conclusiva dello studio, la musica adatta è una sola: il silenzio. Com’è che ho passato l’esame di Political Science? Semplice: due giorni prima dell’interrogazione, spegnevo il walkman e cominciavo ad ascoltare solo il rumore del mio cervello.