“Curare” il design, dall’Italia nel mondo. Conversazione con Maria Cristina Didero

mcdidero-2
The Holy Week of Design.
Per Maria Cristina Didero, 45 anni, curatrice di design indipendente e giornalista freelance, la settimana del Salone del Mobile Milanese è senza dubbio l’evento dell’anno da non perdere per chi è appassionato di design. Come lei, che lo respira ogni giorno. Anche se non è esattamente da lì che è partita. “Nonostante l’interesse per il design, ho una formazione umanistica. Mi sono laureata a Bologna, alla facoltà di Lettere e Filosofia con una tesi sulla storia dell’Unione sovietica. La mia passione per la Russia nasce dal fatto che da piccola il mio sogno era quello di ballare al teatro Bolshoi, così ho studiato per 16 anni danza classica. Per frequentare il Bolshoi, almeno al tempo, dovevi necessariamente conoscere il russo così ho studiato anche quello, spinta dal fascino che ho sempre avuto nei confronti dei grandi classici della letteratura di quel Paese come Dostoevskij e Gogol. Mentre studiavo facevo anche l’interprete nelle prigioni e nei tribunali; al tempo eravamo solo tre italiani a Rimini – la città in cui vivevo con i miei genitori – in grado di parlare questa lingua. Parlare più lingue è sempre stata una ricchezza per me”.

Terminata l’università, Maria Cristina si rende conto che l’interesse nei confronti del design e dell’architettura cresce sempre di più. “Se vuoi fare le cose alla fine ci arrivi comunque”, è il suo motto. “Subito dopo la laurea ho abitato tre anni a New York, un anno in Russia, un anno e mezzo in Francia”. Poi nel 1999 un incontro importante: “Ho conosciuto Alexander von Vegesack, fondatore e allora direttore del Vitra Design Museum a Weil am Rhein, Germania”. Un luogo considerato un vero tempio per gli appassionati del genere. “Ho iniziato a lavorare con Alexander, sondando e imparando sul campo le dinamiche del mondo del design. Intessevo relazioni con i designer, partecipavo alla realizzazione delle mostre, capendo dall’interno come si costruivano. Mi sono occupata per 14 anni delle relazioni istituzionali del museo per l’Italia, come per la mostra su Joe Colombo alla Triennale o quella sul lavoro straordinario di Aldo e Marirosa Toscani Ballo al Vitra Design Museum. Ho un ricordo incredibile di Marirosa e della prima volta in cui io e Alexander siamo andati a trovarla nel suo studio. Ricordo bene la passione con la quale parlava del loro lavoro e la storia intensa vissuta con il marito. Era veramente toccante”. Maria Cristina ricorda divertita le settimane del design milanese trascorse con Alexander von Vegesack, sempre intensissime: “In quei giorni, nonostante fosse il mio capo, vivevamo praticamente insieme dalle 8 del mattino a tarda sera. Andavamo in giro per mostre, riunioni e appuntamenti con la mia Vespa rossa. Io guidavo, lui era il passeggero. Ricordo ancora quando ai semafori cantava “Avanti popolo alla riscossa…” oppure “Bella ciao”.. A lui sembravano solo canzoni, non associava il significato reale che hanno per noi… Mi sono sempre domandata cosa pensasse la gente che ci vedeva!”.

Un’altra figura di riferimento per Maria Cristina è stato il collezionista greco Dakis Joannou, fondatore della DESTE Foundation, un’istituzione indipendente che si occupa di arte contemporanea con la quale ha collaborato anche Massimiliano Gioni, direttore del New Museum di New York e amico di Maria Cristina. “È stato proprio Massimiliano a presentarmi Dakis Joannou, conosciuto da tutti per la sua importante collezione di arte contemporanea, ma meno per la passione –che è anche la mia– nei confronti del Design Radicale. Dakis Joannou aveva studiato a Roma proprio negli anni del Design Radicale (’60-’70), aveva respirato quell’atmosfera e decise così di creare una sua collezione personale che, insieme a quella di Dennis Freedman, altro collezionista newyorchese, è la più importante e ricca di pezzi rappresentativi di quel periodo. Io l’ho aiutato a scovare in Italia pezzi da aggiungere alla sua collezione, oltre a curare con Andreas Angelidakis l’unica mostra –chiamata ‘The System of Objects’– dove questi pezzi sono stati esposti”.

Maria Cristina Didero - foto Ilaria Defilippo

Maria Cristina Didero – foto Ilaria Defilippo

Restando sempre in tema Design Radicale, Maria Cristina sta lavorando a una mostra commissionata dalla galleria R&Company di New York che aprirà a novembre 2017: “Ho lavorato con uno dei proprietari della galleria, Evan Snyderman, per ampliare la loro collezione e arrivare così alla mostra, che sarà corredata da un libro e da un film costituito da interviste ai grandi protagonisti di quel periodo girato da Francesca Molteni che verrà proiettato dal New York Design Film Festival in occasione dell’apertura della mostra”.

Come si diventa curatori di design? “Non ho una ricetta. Forse è partito tutto dal Vitra Design Museum, ma ho sempre pensato di voler agire in qualità di curatrice indipendente. Devo confessare che ho imparato tutto sul campo, ma avrei voluto tanto avere qualcuno che mi spiegasse. Da qualche anno ci sono scuole per i curatori, workshop… Dieci anni fa non era molto comune ‘curare una mostra’, e ancora meno lo era farlo da freelance. Ripeto spesso che in Italia la professione del curatore non ha una categoria ben definita neanche per l’ufficio delle imposte, purtroppo non è riconosciuta”.

Essere donna nel tuo ambito, cosa comporta? “Non ho mai avuto problemi con l’essere donna perché non è e non dovrebbe essere un problema! Infatti l’approccio al lavoro non cambia sia che lavori con una donna sia con un uomo. Probabilmente però molto influisce anche la nicchia in cui opero –il mondo della creatività, del design e dell’arte– che reputo uno spazio ancora “libero” da questi pregiudizi. So che ci sono queste discriminazioni, non le sto negando anzi, ma rispetto alla mia esperienza non le ho mai percepite”. L’esempio al quale ti ispiri? Paola Antonelli (senior design curator al MoMA di New York) è veramente una fuoriclasse. Tutto quello che si dice su di lei è vero. Un’altra figura che rispetto molto è Alice Rawsthorn (critica di design inglese); ha un modo così preciso e puntuale di raccontare le cose del design, è davvero impareggiabile”. 

“For me design is about people, not about chairs”, ha detto Maria Cristina. “Critici di design pensano che lo storytelling sia solo un’espediente narrativo. Io sono molto interessata a sapere come è nata una bella sedia, cosa pensava chi l’ha prodotta, il suo processo mentale. Il più delle volte quando il processo mentale è di valore anche la sedia lo è, sono cose collegate”. E di questo Maria Cristina scrive da anni su riviste come Domus, Vogue e Icon Design. “La mia comunque resta una formazione giornalistica, mi piace il racconto vivo, mi piace ascoltare le persone, capire come nascono i progetti e la scintilla che li ha fatti succedere”.

Con la curiosità e la passione che la contraddistinguono Maria Cristina è uno dei curatori italiani a lavorare a livello internazionale. A volte è lei che propone idee per future mostre ma più spesso le vengono commissionate da istituzioni pubbliche o private. Nel corso degli anni ha collaborato con istituzioni di prim’ordine fra cui l’Armory Show di New York, la Gwangju Biennale nella Corea del Sud, la GAM di Torino, il Museo di Arti Applicate di Dresda, il Museo del Novecento di Milano, il MiART ed è stata direttore della Fondazione Bisazza per 4 anni, dall’inizio delle attività nel 2011 al 2014. I lavori più recenti? Nel 2016 la prima antologica di Nendo all’interno di una istituzione, il Museo di Holon, a Tel Aviv, una mostra articolata e di successo. oppure il progetto tematico del designer Michael Young al Museo del Design del Grand Hornu a Bruxelles, in Belgio: “La mostra si intitolava ‘al(l): Projects in Aluminum by Michael Young’ e il protagonista era appunto, oltre al designer, l’alluminio, il materiale che Young usa di più. Una mostra che Michael Young ha deciso di condividere in maniera molto generosa con altri grandi personaggi che hanno lavorato magistralmente con l’alluminio nella storia; dalle sedute di breuer alla torcia olimpica di Barber & Osgerby”. E poi la mostra “Friends + Design” co-curata con l’amica Tulga Beyerle che riguarda le collaborazioni nell’ambito del design da parte di amici veri. “Il progetto più distante dal mondo del design è quello che ho fatto nel 2015 con Cattelan e Ferrari a Rimini dal titolo ‘Saluti da Rimini’, un progetto di ‘design del territorio’, come lo chiamava il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi”.

Maria Cristina Didero nel suo appartamento - foto Ilaria Defilippo

Maria Cristina Didero nel suo appartamento – foto Ilaria Defilippo

E durante il fuorisalone? “Da tre anni collaboro con Atelier Biagetti (Laura Baldassarri e Alberto Biagetti) curando il loro progetto per il Fuorisalone. Si tratta di una sorta di performing design in cui la  loro creatività si esprime partendo dall’indagine di una ossessione contemporanea e quindi creando degli oggetti in grado di restituire quell’idea. Il progetto del 2017 è dedicato al dio denaro e si intitola ‘GOD’.

Cosa succede durante la Milano Design Week? “Il nostro appartamento si trasforma nel cosiddetto MC Design Dormitory e si riempie di amici e di ospiti che finiscono per essere sempre più dei posti letto. Ci si ritrova tutti alle 2 di notte e ci si racconta della giornata trascorsa, cosa si è visto, chi si è incontrato…”.

Cosa succede quando Maria Cristina non pensa al design? “Quando possibile io e mio marito Flavio partiamo per la campagna, andiamo nella nostra casa sulle colline tra Rimini e San Marino, vicina a dove vivono i miei genitori”. Un modo per staccare. “Lì abbiamo tre asini, Shakira, Rihanna, Ali (perché ci piace la pop music), 19 papere, 5 galline, e il gatto Orazio”. Che sono segretamente –ancor prima del design– la sua vera passione.