Di solito tornare a parlare alla propria università è sempre un piacevole tuffo nel passato. In questo caso tuttavia, pedalando verso la London School of Economics, avevo un gusto amaro in bocca . Mi rattrista pensare che i 200 e passa studenti italiani percepiscano il divario intergenerazionale in Italia come talmente importante da farne il focus dell’edizione 2017 dell’Italian Forum della LSE Italian Society.
Andrea Guerini Rocco, attuale presidente della Society, racconta così la scelta: “è stato fondamentale ripensare alle ragioni che ci avevano spinto a lasciare il nostro Paese, e alle sensazioni che avevamo provato una volta giunti nell’Inghilterra pre-Brexit. L’Italia non sembrava un Paese adatto a un giovane: vi era la persistente sensazione che il divario intergenerazionale tra la mia generazione e quella dei miei genitori, si fosse fossilizzato nella forma di una divisione in classi, in cui una è inesorabilmente destinata a dipendere dall’altra. Il contrasto con Londra non avrebbe potuto essere più deciso: una città capace di attirare a sé giovani di ogni nazionalità, con la semplice promessa di essere artefici del proprio destino“. Nelle tre serate in cui il Forum ha affrontato questo tema spinoso, il divario intergenerazionale in Italia mi è parso una sorta di Cerbero, con teste una più preoccupante dell’altra.
Divario demografico: il demografo Giorgio Di Gessa ci ha confermato che i dati coincidono col sentito dire. L’Italia è un Paese vecchio, che diventerà sempre più vecchio, in cui più giovani partono che ritornano, in cui le donne faticano ad avere figli e lavorare contemporaneamente.Tommaso Nannicini e Andrea Garnero ne hanno tirato le giuste grigie conclusioni in termini di sfide per la competitività economica e la sostenibilità dei sistemi di welfare. Non ho potuto biasimare quello che dal pubblico ha fatto l’ultima domanda: ma qualcosa di positivo da dire proprio non si trova, eh?
Divario politico: è bene non far di tutti i giovani un fascio. Ci è stato ricordato il divario rimarchevole di voto non inter-generazionale, ma intra-generazionale, tra giovani italiani all’estero e in patria. I primi sono molto più pronti a dare appoggio ai partiti tradizionali dei loro compagni restati a casa, che sempre di più si volgono verso i movimenti anti-establishment. Il coinvolgimento costruttivo dei giovani nella scena politica europea, hanno concluso Vincenzo Scarpetta e Claudia Chwalisz, resta un terreno sui cui lavorare non solo a livello di politiche adatte, ma anche di canali di comunicazioni e nuove maniere di aprire le strutture partitiche con esperimenti di innovazione democratica.
Divario digitale: nel corso dell’ultimo panel con due star del mondo delle start-up, Davide Dattoli e Jacopo Mele, abbiamo cercato di capire come l’innovazione digitale possa aiutare i giovani a superare il divario intergenerazionale. Siamo partiti per una volta da un dato positivo, ovvero che l’Italia è tra i Paesi europei a più alto tasso di imprese create da under 35. Tuttavia nessuna di questa è diventata un unicorno, e sono ancora tanti gli ostacoli legati al mondo digital. Dalle lentezze e arretratezze della pubblica amministrazione fino ai sistemi pigmei di venture capital per il mondo agile del tech, alla mancanza di politiche governative paragonabili, per esempio, alla recente Digital Strategy britannica.
Durante questo evento, mi sono ritrovata portatrice di uno strano messaggio. Nonostante lo scoramento tutto italiano derivante da queste riflessioni, il problema del divario tra generazioni è lungi da essere un fenomeno solo nostrano. Nel panel rappresentavo il comitato 35under35 della Confederation of British Industries, una sorta di sezione giovani della “Confindustria” britannica. Il dato interessante è che è stato proprio creato post-referendum sulla Brexit. Per una volta anche l’UK, Paese a cui sempre guardiamo come molto più avanti nelle questioni dei ‘giovani’, è stato colto di sorpresa dal divario generazionale. Il 75% dei giovani che hanno votato nel referendum sulla Brexit ha votato Remain, contro il 39% degli over 65 e una media nazionale del 52%. E così è corso al riparo, creando un comitato ad hoc che come prima missione avrà proprio quella di cercare di capire che cosa pensano, vogliono e temono i giovani nei business britannici.
Mal comune mezzo gaudio? Non credo, forse è solo che in Italia il fenomeno dell’emigrazione dei giovani talenti l’ha reso più visibile da più tempo. La priorità venuta fuori da questi dibattiti è chiara: sia di qua che di là della Manica le nuove generazioni devono ritrovare una voce, che sia nel mondo politico, industriale o digitale. Attendere che ci venga data è una forma di pigrizia civica inaccettabile.