Come è andata? Ce lo siamo chieste in molte, dopo il nostro primo “sciopero”. Perché a scioperare, di solito, sono le categorie… e allora le donne che tipo di categoria sono? E, soprattutto, che richieste hanno?
A Roma ho conosciuto Marina, che di mestiere fa la tassista. Ha una bambina di 11 anni, le chiedo come fa a occuparsene con i turni. Mi spiega che a Roma da qualche anno le tassiste con figli fino a 14 anni hanno il “turno rosa”. Più precisamente, questa fantastica invenzione è nata con l’ordinanza 6 del 10 maggio 2013, e stabilisce che: “le operatrici del trasporto pubblico non di linea, con figli che frequentano la scuola dell’infanzia, la scuola primaria o la scuola secondaria di primo grado, potranno optare per un turno di servizio compreso tra le ore 8.30 e le 16, ovvero l’orario in cui sono aperti asili, scuole elementari e medie”.
Mi spiega la tassista che la proposta era già stata fatta e discussa sotto Alemanno, e ha poi trovato compimento con la giunta di Marino. Secondo un dato del 2010, le donne titolari di licenza taxi a Roma sono 463: poche sul totale di circa 7.500 auto circolanti, ma un numero in crescita. Prima dell’introduzione del “turno rosa”, alcune dovevano accettare solo turni notturni per poter poi conciliare il lavoro con la vita familiare. Chiedo a Marina se posso parlare di lei in un articolo e mi risponde: “Dei turni rosa sì, ma non dell’argomento taxi in generale, eh”. Si, perché quella dei tassisti è una categoria sempre in lotta, e sa farsi sentire. Capacità che hanno evidentemente saputo declinare bene anche le rappresentanti romane: portando nella loro città un’innovazione sensata ed efficace, di cui beneficerebbero anche molte altre professioni e aree geografiche.
Dice Filippo Maria Battaglia nel suo saggio “Sta zitta e va’ in cucina (breve storia del maschilismo in politica)”, che oltre che persone, le donne a differenza degli uomini sono pure una categoria sociale. In proposito, cita un deputato che, nel dibattito sul Porcellum nel 2005, sbotta “se lo si fa per le donne, lo si deve fare anche per le altre categorie”.
Ecco allora spiegata in parte la controversa complessità di uno sciopero come quello dello scorso 8 marzo: si è “categoria” quando si ha rappresentanza per dialogare con il potere politico, ma non si è parte di esso.
“Se la donna è solo una categoria”, conclude Battaglia, “inevitabile che debba restare minoritaria”.