Chi non vorrebbe essere un changemaker?

system-change-2

La tentazione è forte.

Chi non vorrebbe cambiare il mondo, diventando un imprenditore sociale con l’ambizione di trovare soluzioni a problemi da cui governi e istituzioni si sono ritirati? Ad esempio, pensando all’Italia, chi non sarebbe orgoglioso di sconfiggere la ‘ndrangheta con l’economia della legalità o di portare nelle scuole quell’educazione digitale che lo Stato fatica tanto ad attivare?

Sembrano missioni impossibili, eppure non è così. Stando alla definizione della Norrsken Foundation, uno dei social impact hub più prestigiosi in Europa, un changemaker è un imprenditore – o chiunque si faccia imprenditore di se stesso – che provoca un cambiamento nella propria azienda o nella propria realtà generando con un forte impatto sociale. Ma chi ha coniato il termine negli anni Ottanta è Bill Drayton, il fondatore di Ashoka, ONG internazionale con base a Washington (dal 2014 anche in Italia), che ad oggi raccoglie oltre 3300 changemaker in tutto il mondo. Secondo la sua visione, il vero imprenditore sociale deve andare alla radice del problema e applicare una soluzione così innovativa da diventare una pratica diffusa, così da generare un cambiamento sistemico. Insomma, un cambiamento culturale, raggiungendo gli ultimi due stadi dei 5 livelli di impatto sociale (v.figura).

E’ interessante vedere quali sono gli ambiti più critici a livello internazionale attraverso i migliori imprenditori sociali al mondo premiati ogni anno dalla Fondazione Schwab, che ad oggi conta 260 aziende proveniente da 70 paesi diversi. Nella classifica 2016 tra i 12 best in class emergono: Nina Smith di GoodWeave, ong contro lo sfruttamento minorile nella produzione di tappeti in Nepal, Afghanistan e India; in Sudafrica Tracey Chambers di Clothing Bank forma le madri disoccupate per farle diventare donne d’affari indipendenti; negli Usa, David Risher e Colin McElwee con Worldreader combattono l’analfabetismo con un catalogo di migliaia di ebook in oltre 40 lingue. O ancora Ron Bills che con Envirofit International produce una stufa tecnologica a combustione pulita, per combattere l’inquinamento nei paesi in via di sviluppo.

img_2642

Ma forse è ancora più interessante dare un’occhiata agli imprenditori sociali selezionati da Ashoka Italia nel 2016, che dopo una severa analisi sono diventati Fellow e sono così entrati nella rete internazionale di changemaker della Ong.

Luciana delle Donne, fondatrice di Made in Carcere, società nata in Puglia che produce prodotti etici in una decina di istituti penitenziari, grazie al lavoro di detenute retribuite. I prodotti vengono realizzatti partendo da materiale di recupero di case di moda, produttori e donatori e poi venduti in parte attraverso temporary store e e-commerce e, in parte, ad aziende che li scelgono per il forte impatto che generano sui clienti.

Francesca Fedeli (autrice in questo blog), co-fondato dell’associazione di Promozione Sociale FightTheStroke con l’obiettiwvo di portare conoscenza alle famiglie con un sopravvissuto da Ictus; educare alla consapevolezza che i bambini, anche non ancora nati, possono essere colpiti dall’Ictus; favorire la ricerca e l’adozione di terapie ‘disruptive’, grazie a un approccio olistico all’ictus infantile con importanti implicazioni anche nella cura di molte altre malattie.

Vincenzo Linarello, tra i fondatori del Gruppo Cooperativo GOEL, impegnato nella creazione di un’economia positiva in Calabria in alternativa a disoccupazione e criminalità organizzata. Il Gruppo si oppone attivamente alla ‘ndrangheta, denunciandone l’operato e dimostrando che l’etica può rappresentare una risposta efficace, miglioranda la qualità dell’ambiente sociale.

Alfonso Molina utilizza la tecnologia digitale e la robotica per attivare e motivare i giovani, sfruttando il loro interesse e motivandoli al lavoro di gruppo, al problem solving e decision-making. Ha messo a punto questo metodo dopo averlo testato nella sua organizzazione Fondazione Mondo Digitale, dove ha creato un laboratorio multifunzionale, Innovation Gym, e sta lavorando per attrezzare ogni scuola di una “palestra” simile.

Dario Riccobono, tra i fondatori di Addio Pizzo, associazione fondata a Palermo nel 2004, che ha creato una rete di consumatori e imprese alleate contro il pagamento del pizzo e quindi il controllo del territorio, nel 2009 ha avviato Addio Pizzo Travel per coinvolgere operatori del settore turistico, studenti, insegnanti e turisti nella rete di consumo critico.

Riccarda Zezza (autrice in questo blog) con La Maternità come un Master (MAAM) intende trasformare il modo di considerare il tempo di assenza dal lavoro con i propri figli, oggi in conflitto con la carriera. Lavora sia sul fronte delle capacità genitoriali delle donne, sia con i datori di lavoro per trasformare il congedo di maternità e di cura parentale in un’opportunità di sviluppo di competenze chiave sia sul lavoro sia in famiglia.

img_2643