Fabia Timaco: Dalla Venere di Milo ho imparato che…

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Paul Cooper / Rex Features

“She is perfect but imperfect, beautiful but broken”.

L’articolo di un paio di anni fa, sul The Guardian, raccontava il mistero della Venere di Milo. La sua ambivalenza tra mondo classico e mondo moderno, la considerazione ottenuta da molti artisti, l’essere una giovane donna da ammirare, a cui tendere per ispirarsi. E come ancora dopo secoli, sia rimasta un’idea di bellezza, di cui tuttavia, non consideriamo la mancanza di due braccia (e ce ne interessa anche poco). Il perché di questo fatto mi appare evidente, da non poter non rifletterci, rivalutando il tutto nelle azioni quotidiane. Oggi le diventano appariscenti e tangibili. Perché siamo esseri umani vivi, reali, e Venere solo una statua, statica? Mi domando cosa cambia. Su di lei si è spezzato qualcosa: prima o dopo. In quale modo. I tagli così netti, e i resti sono andati perduti chissà dove. Qual è la sua storia.

È capitato, forse alla domanda “Perché ti manca …?” e la risposta ai compagni delle elementari: “Sono nata così”. E poi via a correre. I tecnici preferiscono “focomelica”, dal greco ricorda un arto, ma di una foca. La prima volta che sentii questo aggettivo mi apparve un accompagnamento inconsueto. Come è possibile che, all’inizio, già fossi stata definita. Di seguito, i dubbi. E adesso? Numeri di indennità o percentuali di possibilità d’impiego (successivamente) non mi sono mai andati a genio. È possibile valutare una o più mancanze in modo oggettivo e quantitativo? C’è un listino dell’amputato, del malato cronico, delle affezioni? Credo sia abbastanza complicato inserire una persona dentro una matrice di dati. C’è stato qualcuno, in un contesto scolastico, che si è permesso di dire che la percentuale data fosse troppo alta, dopotutto “era solo un arto”, – ha continuato. “Vuoi una mano?” Siamo abituati, in fondo. In Italia, dall’ultimo rapporto del Censis, si stima che il numero di persone con disabilità più lievi e più gravi possano arrivare nel 2020 a 4,8 milioni – il 7, 9 % dell’intera popolazione. Non poco. Per le problematiche di tempo e spazio impossibile è considerarci in modo olistico. Basterebbe poco, un dialogo di prima conoscenza con il presidente di commissione, per esempio “Buongiorno, Lei si chiama?” invece di “Allora, le è stata riconosciuta..” e via discorrendo.

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Ashley di Friends of Bethany Hamilton

Detto ciò, dietro le quinte c’è stato un grande lavoro alla persona che sono oggi. Dai cambiamenti necessari e poi voluti. Diversi momenti in diversi contesti hanno contribuito a smussare gli angoli. Le parole, poco per volta, sono state scelte con cura, nella loro delicatezza. Cambiando l’approccio verso l’altro, ho teso l’orecchio all’ascolto e all’accoglimento di consigli per continuare la strada decisa da coincidenze e passioni, da nuove conoscenze e condivisioni. Si è raggiunta una prima fase della familiarità, poi dell’immedesimazione, e infine dell’emersione. Credo che proprio a questo punto un concetto a cuore e di grande sforzo dal punto di vista di chi guarda dall’esterno, come parente o semplicemente amico, sia l’accettazione. Vale anche per chi, per incidenti e soste, lo vive più tardi. Ma quello che il più delle volte è difficoltoso raccontare è il fatto di osservarsi dall’esterno, e dire “Mi vedono veramente così gli altri?”. Nella mia esperienza finché non rifletto o non noto una foto che ritrae una ragazza con la stessa fisionomia, allora non realizzo. Nella mia testa ci sono sempre due mani. Perché essenzialmente la loro funzione è quella, da quando sono piccina.

Con-vivere con qualcosa che non si ha deciso. Nel momento in cui ti scegli, allora gran parte del lavoro è stato compiuto. Non lo comprendi da subito, certo. E non ci sono nemmeno scorciatoie. Avviene quando meno te lo aspetti, quando un “non ho notato cose essenziali che ti mancassero” sopraggiunge timido e fa spazio nella tua vita.

“Who cares what her arms were doing? It is their absence that makes the Venus de Milo a modern enigma”.