“Chi è più probabile che trasmetta l’HIV?” è l’incipit della nuova campagna di sensibilizzazione sul tema HIV/AIDS lanciata da Arcigay proprio oggi nella giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS. Sul pieghevole campeggiano due foto dello stesso ragazzo: in una lo vediamo con un gran sorriso e la scritta “Vivo con HIV e sono in terapia”, nell’altra con un sorriso meno convinto (ma sempre un sorriso) e la frase “Il mio ultimo test era negativo”.
Quante cose sono cambiate dalla mia adolescenza. Correva l’anno 1989 e il Ministero della Salute lanciava una delle più famose campagne contro la diffusione dell’AIDS, quella dell’alone viola, quella dello slogan “se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide”.
Avevo 11 anni, un’età cruciale che segna il passaggio tra infanzia e adolescenza con le mille domande, le insicurezze e le paure che si porta dietro. E’ l’età in cui tutto ciò che riguarda la sfera sessuale di un individuo comincia a bussare alla porta della coscienza. E tu sei lì a cercare il modo di aprire perché (maledizione!) nessuna chiave sembra andare bene. A 11 anni quella campagna aveva sui miei ormoni lo stesso effetto di una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno. Eppure, all’epoca, era una campagna a suo modo innovativa, perché se è vero che da una parte quell’alone viola tracciava un confine labile tra normale e anormale, insistendo sulla “vita di coppia normale” e sconsigliando i rapporti sessuali occasionali, dall’altra richiamava senza mezzi termini l’uso del preservativo (se proprio proprio – ricordava la voce fuori campo – abbiamo intenzione di consumare questi sconsigliabili rapporti occasionali). Un compromesso insomma: di fronte a quella che si prospettava come un’epidemia, anche il Ministero della Salute si attivava proponendo uno spot dove moralismo e esigenze pratiche si mescolavano in un connubio criticabile nell’approccio ma efficace nel messaggio.
L’89 era anche l’anno della famosissima pubblicità della Control in cui un arcigno professore, brandendo un preservativo tuonava “Di chi è questo?” di fronte alla classe attonita ma sessualmente responsabile. Per me, che all’epoca in tasca portavo soltanto le figurine, entrambe le pubblicità segnavano un momento storico di svolta, una novità assoluta. Talmente assoluta che poi non se ne è parlato più per 20 anni, quasi il rischio AIDS fosse passato in secondo piano, scomparso. 20 anni in cui in Italia il concetto di “salute sessuale” pareva superato da problemi ritenuti ben più importanti. 20 anni in cui i limiti culturali e religiosi di un paese, non certo progressista su questi temi, si sono spesso tradotti in una drammatica incapacità da parte delle autorità sanitarie (ma non solo), di affrontare in maniera coerente il fenomeno. Risultato? Si è smesso di parlare di malattie a trasmissione sessuale e di preservativi proprio quando aumentavano i contagi (sia tra eterosessuali che tra omosessuali). Senza contare che intere generazioni sono cresciute senza porsi il problema, avendo un’idea vaga di cosa fosse l’HIV/AIDS.
Fortunatamente la mancanza di informazione è stata inversamente proporzionale ai risultati della ricerca. Le conoscenze e gli strumenti elaborati negli ultimi anni consentono a una persona HIV positiva, che è in terapia e tiene sotto controllo il virus a livelli di non rilevabilità nel sangue (non si riesce nemmeno a quantificarne la quantità, da tanto è minimo), di avere un rischio quasi nullo di trasmettere l’infezione. E allora il problema oggi non è tanto l’AIDS che, in ultima analisi, è sindrome molto difficile da sviluppare, ma l’ignoranza generale sul tema e lo stigma che colpisce le persone che vivono con HIV. Ignoranza perché in tutti quegli anni bui è mancata, soprattutto alle nuove generazioni, un’informazione diffusa su cosa fosse lo stato di sieropositività (cos’è l’HIV, come si contrae, come si previene e, soprattutto come si tiene sotto controllo affinché non si trasformi in AIDS). Stigma perché, fin dalla sua comparsa nei primi anni ’80, l’HIV/AIDS è stata una condizione associata a tabù e pregiudizi tali da sconvolgere la vita delle persone che vivono con HIV tanto da diminuire drasticamente il ricorso al test per paura di dover vivere avvolti dalla tetra luce di quell’alone viola.
Per questo è così importante capire perché il ragazzo che “Vive con HIV ed è in terapia” ha quel sorriso aperto, senza ombre. E per capirlo è meglio ricordare alcuni punti essenziali.
Cos’è l’HIV e che differenza c’è con l’AIDS
Innanzi tutto essere sieropositivi, ossia aver contratto il virus dell’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) non vuol dire avere l’AIDS. L’HIV è un virus che attacca e indebolisce il sistema immunitario. Una volta entrato nel corpo il virus si replica attaccando e danneggiando il sistema immunitario (ossia i linfociti) che difendono da certi tipi di infezioni e malattie. Se non trattato il virus consente a queste infezioni cosiddette “opportunistiche” di colpire il corpo: è quando queste infezioni compaiono che c’è l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita). La persona portatrice del virus HIV, senza infezioni opportunistiche, viene definita sieropositiva o HIV+: significa che è risultata “positiva” al test che vede gli anticorpi all’HIV.
Come si cura
La terapia cosiddetta “antiretrovirale” riduce drasticamente la quantità di virus nel sangue, consentendo così alle difese immunitarie di recuperare e scongiurare il passaggio all’AIDS. Tuttavia più tardi ci si accorge di avere l’HIV e più è difficile rimettere in sesto il sistema immunitario. Questo passaggio è fondamentale in quanto sapere significa curarsi e curarsi significa proteggere la salute propria e quella degli altri. Come detto, infatti chi si cura ha un rischio di trasmettere l’infezione praticamente nullo e ha un’aspettativa di vita pari a quella degli altri.
L’epidemia è alimentata non tanto da persone che sanno di avere l’HIV e, per ragioni varie, non assumono la terapia, ma soprattutto da chi non sa di essere sieropositivo e, non curandosi, può trasmettere inconsapevolmente il virus. Ed è questa la chiave di volta delle nuove campagne di sensibilizzazione. Accanto alla prevenzione tradizionale che vede al primo posto l’uso del preservativo si è quindi affiancata la cosiddetta TasP, ossia Treatment as Prevention (Terapia come prevenzione). La TasP oltre a garantire un elevato livello di controllo del contagio (perché, come detto, chi è in cura ha un rischio pressoché nullo di trasmettere il virus) evidenzia anche la violenza e l’inutilità dello stigma verso una persona che vive con HIV e lo fa nell’ambito che ha sempre fatto più paura, quello dello spot dell’alone viola, quello dell’ambito sessuale.
“Abbiamo tutto quello che serve per lottare con efficacia contro il diffondersi dell’HIV – dichiara Michele Breveglieri, responsabile Salute di Arcigay nel comunicato stampa diffuso per l’occasione – manca però la presa in carico, in primo luogo delle istituzioni, di questa battaglia: Test, condom, terapia e informazione – spiega – sono i quattro pilastri della strategia complessiva che Arcigay e le altre associazioni e realtà attive nella lotta all’HIV hanno adottato”. La combinazione di questi quattro pilastri oggi può fare la differenza e ridurre drasticamente l’epidemia, portando a compimento l’obiettivo 90/90/90 stabilito da UNAIDS (Joint United Nations Programme on HIV/AIDS) di avere il 90% di persone con HIV diagnosticate, il 90% in terapia e il 90% con viremia non rilevabile.
In Italia
E i dati, resi pubblici proprio in questi giorni, del Ministero della Salute confermano i primi frutti di questo cambio di strategia. Il numero dei decessi per HIV è stabile dal 2010 mentre il numero di nuove infezioni da HIV è in lieve decremento. Con questi dati l’Italia si colloca al 13° posto in Europa in termini di incidenza HIV. Le regioni con l’incidenza più alta sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l’Emilia-Romagna. Stupisce invece l’aumento progressivo della percentuale di persone che scopre di avere l’HIV nei pochi mesi precedenti la diagnosi di AIDS. Questo fa pensare che la strada intrapresa dalle moderne campagne di sensibilizzazione è la chiave di volta per intervenire in maniera più incisiva sul fenomeno. Per questo non soltanto Arcigay, ma anche LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS), Plus e altre organizzazioni di lotta all’HIV nella giornata di oggi (ma anche durante tutto l’anno), non propongono non soltanto raccolte fondi, incontri di approfondimento e test gratuiti, ma anche un sostegno emotivo e informativo a chi dovesse scoprire di aver contratto il virus, perchè sappia che la sua vita, con un’adeguata terapia, può continuare come prima.
Accanto al lavoro continuo delle associazioni dedicate, moltissime sono le iniziative che si terranno in questi giorni a sostegno della lotta contro l’AIDS. Per citare solo un paio di esempi, a Varese, Padova, Bologna, Perugia e Roma ci sarà l’iniziativa “In Coro contro AIDS” che vede per la prima volta in Italia cinque cori LGBT* cantare insieme per raccogliere fondi in favore della ricerca scientifica e delle associazioni che si occupano di lotta all’AIDS (per info https://www.facebook.com/events/680670375445572/). Tra i grandi brand, Apple offre ai clienti la possibilità di contribuire alla missione (RED)* che consiste nell’affrontare la disparità di accesso ai farmaci salvavita nell’Africa subsahariana, dove si registra la più elevata diffusione di AIDS del pianeta. Il tutto semplicemente giocando ai videogame più amati, acquistando regali da mettere sotto l’albero o ascoltando l’esclusivo album di Natale (RED)* dei Killer.
Mentre il test lo puoi fare praticamente ovunque, basta informarsi sulle pagine delle singole associazioni (Arcigay, Lila, Plus sia nazionali sia cittadine), sia che tu sia etero, gay, lesbica, trans, bisessuale, etc. Ah… e, mi raccomando, non solo nel caso in cui tu sia single! Io l’ho già segnato sul calendario. Tu?