GPA, gestazione per altri. Una pratica di cui si è tanto parlato soprattutto durante la discussione della legge sulle unioni civili, riguardo l’articolo 5 (poi stralciato, come ben sappiamo) e l’adozione coparentale, malamente detta stepchild adoption. Una pratica che divide, anche all’interno della redazione di Alley Oop, e sulla quale si è detto e si dice tutto e il contrario di tutto. Una pratica alla quale fanno ricorso (rivolgendosi all’estero) a larghissima maggioranza coppie eterosessuali sterili, e che, è bene ricordarlo, nel nostro Paese non solo è assolutamente vietata, ma anche sanzionata penalmente in modo molto molto severo.
Premessa doverosa da fare oggi che di GPA si torna a parlare. I fatti risalgono a fine novembre. Alcuni spettatori dell’Uci Cinemas denunciano che durante il preshow viene proiettato uno spot di 30 secondi contro la gestazione per altri, promosso dall’associazione Pro Vita Onlus. Alle denunce degli spettatori fa seguito anche quella dell’associazione LGBTI Rain di Caserta. Inutile dire che dopo lo strascico lasciato dal dibattito sulle unioni civili, quando si parla di GPA le persone LGBTI si sentono direttamente investite dall’argomento, visto che loro, e non le coppie eterosessuali, sono sempre state il bersaglio dell’accusa oggettivamente infamante che parla vendita di bambini. Esattamente come nello spot. Ricevute le proteste, a stretto giro Uci Cinamas fa sapere con un comunicato che
è stato dato l’ordine di eliminare lo spot da tutti i nostri preshow.
Questione chiusa quindi? Assolutamente no. Alla notizia del ritiro dello spot, partono le proteste del fronte opposto, di Pro Vita e dell’onorevole Carlo Giovanardi, conservatore duro e puro, da sempre esposto in prima linea contro la GPA (e non solo). Si urla alla censura e alla limitazione delle libertà di espressione, a vantaggio delle proteste della lobby LGBTI. Morale della favola, Uci Cinemas ci ripensa di nuovo, e reintroduce lo spot in questione nelle sue 190 sale. Il comunicato che annuncia la decisione viene riportato in un articolo pubblicato da Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani:
in seguito ad alcune segnalazioni ricevute nei giorni scorsi da alcuni clienti, Uci Cinemas ha sospeso per tre giorni la programmazione di uno spot contro l’utero in affitto nell’ambito del pre-show che precede la proiezione dei film. Effettuate le dovute e opportune verifiche, il Circuito ha deciso di riammetterla.
Mi si permetta un appunto terminologico: definire la GPA come “utero in affitto” significa, anche inconsapevolmente, già esprimere un giudizio non positivo al riguardo. Comunque sia, terminologia a parte, uno a uno palla al centro, e la contromossa a questo ripensamento non si è fatta assolutamente attendere. Dalla parte di chi contesta non solo lo spot, ma anche e soprattutto la sua collocazione, è partito già il boicottaggio in rete con tanto di hashtag #boicottaUciCinemas. Capofila la “mamma” delle unioni civili, la senatrice Monica Cirinnà, che su twitter non ha fatto attendere la sua reazione.
Il punto non è se sia giusta o no la GPA, se sia giusto o no quello spot e quanto afferma, o come lo afferma (anche se molto ci sarebbe da dire). Sono entrambi temi complessi che non si risolvono con un post. Il punto qui è un altro: è il cinema, il posto adatto dove far passare uno spot sulla gestazione per altri così posizionato ideologicamente? Un argomento così difficile e divisivo, messo lì, tra un trailer di Vacanze di Natale 2020 e la pubblicità delle lenti a contatto? E’ questo il modo di trattare il tema? Trenta secondi, unilaterali, senza contraddittorio, su una pratica che nel nostro Paese è per giunta vietata?
E andando ai miei diritti di consumatore: è giusto che io, spettatore ignaro, debba trovarmi nella condizione di assistere a uno spot il cui contenuto potrebbe anche offendermi, interrompendo il momento di svago per il quale ho pagato e scelto Uci Cinemas? Domande che rimangono assolutamente valide anche all’opposto, e cioè se si trattasse magari di uno spot a sostegno della GPA.
Fermo restando che nessuno ha mai chiesto l’introduzione di questa pratica in Italia, e che il dibattito in tal senso semplicemente non esiste, la cosa su cui dovremmo essere tutti d’accordo è che questo Paese, su certi temi, ha bisogno di incontro, di dialogo, di confronto, di informazione, non di spot da trenta secondi. Come può, mi domando, un meccanismo del genere, che porta un argomento che inevitabilmente genera scontro, essere introdotto a mia insaputa nella programmazione commerciale che precede un film? E se domani toccasse agli spot pro o contro eutanasia? oppure quelli sugli immigrati? Vogliamo davvero iniziare a buttare temi complessi così, come sentenze senza dialogo, trenta secondi prima del cinepanettone? Certo per un gruppo, che ha come obiettivo il fatturato e gli utili per i propri azionisti, lo spot è solo una voce di bilancio in più. Ma le società che operano nei media non hanno una loro policy nello scegliere le pubblicità da ospitare fra le loro pagine o sui loro schermi?
Tante domande, nessuna risposta. La programmazione dello spot nelle sale è prevista fino al 5 dicembre. Francamente, non so cosa deciderà Uci Cinemas. Allo stato dei fatti, una soluzione, improbabile e salomonica, potrebbe essere quella di indicare quantomeno prima di quali film verrà introdotto lo spot in questione. Così che io possa scegliere caro Uci Cinemas. Come cittadino, e come consumatore. Scegliere sì, se pagare e sedermi per vedere anche uno spot i cui contenuti potrei non condividere fino a sentirmi offeso, oppure vedere semplicemente un film, quello che ho scelto uscendo da casa. Magari da un’altra parte, senza preoccuparmi di altro.