Senza mensa il 40% delle scuole: ecco dove si trovano

Una parte d’Italia combatte per scegliere liberamente se far mangiare ai propri figli il pasto preparato a casa piuttosto che le portate della mensa. Un’altra invece la mensa proprio non ce l’ha. A questo fanno pensare i dati contenuti nel monitoraggio realizzato da Save the Children intitolato “(Non) Tutti a Mensa! 2016”  da cui emerge che in Italia il 40% degli istituti non è provvisto di una mensa e che in otto regioni italiane, dalla Puglia alla Sicilia, più del 50% dei bambini non ha accesso al servizio.

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Il motivo principale è che il 68% delle classi della scuola primaria, come elabora il monitoraggio citando dati del Miur, non ha il tempo pieno a scuola e dunque non attiva i servizi di ristorazione. Questo fa sì, ad esempio, che le percentuali di bambini che non hanno la mensa sia pari all’80% in Sicilia, al 73% in Puglia, al 70% in Molise, al 65% in Campania e al 63 in Calabria.

Save the children pone nel suo monitoraggio un doppio ordine di problemi:

“un bambino su 2 in otto regioni italiane non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa e dunque dell’opportunità che essa richiama in termini non solo nutrizionali, ma anche educativi”

Inoltre il report sottolinea come

Campania, Calabria, Puglia e Sicilia siano ai primi posti per la maggiore percentuale di alunni che non usufruiscono del servizio mensa, del tempo pieno e sono le stesse regioni in cui la dispersione scolastica raggiunge i picchi più alti.

Quanto ai costi di un servizio, definito “essenziale” per i bambini, questo grava nella gran parte dei casi completamente sulle famiglie, con percentuali pari al 100% in comuni come Bergamo, Forlì, Parma e Brescia, fino a percentuali molto più basse ad esempio a Siracusa (20%), Reggio Calabria (31%) e Andria (32%).

Un’altalena poi anche sulle tariffe, come si evidenzia nel rapporto che mette sotto la lente le politiche di 45 comuni con oltre 100mila abitanti: si va dalla etariffa massima di 2,3 euro a Catania ai 7,28 euro di Ferrara, le tariffe minime invece spaziano dai 0,3 euro di Palermo ai 4,25 di Venezia. Per non parlare del fatto che 11 dei 45 comuni monitorati, sottolinea Save the Children, non prevedono un’esenzione specifica garantita per reddito, composizione familiare o motivi di carattere sociale, 8 di questi 11 comuni garantiscono la possibilità di esenzione solo nei casi di disagio accertato tramite la segnalazione da parte dei servizi sociali, mentre Bolzano, Padova e Salerno non prevedono nessun tipo di eccezione.

Le riduzioni tariffarie sono previste in tutti Comuni, ma con criteri sono disomogenei: 40 su 45 applicano le riduzioni per disagio economico ponendo soglie Isee differenti, in 35 modulano le tariffe a seconda della composizione familiare, 13 lo fanno in base di disagi sociali o alla segnalazione dei servizi, mentre 4 Comuni riducono la tariffa per i nuclei familiari con disabilità.

Secondo Save the Cildren, poi, sono da considerare prassi negative quelle di quei Comuni  – Ancona, Brescia, Foggia, Novara, Palermo, Reggio Calabria, Sassari, Taranto e Salerno – che escludono dal servizio i bambini figli di genitori morosi dal servizio mensa.

In conclusione, il Report fa una serie di raccomandazioni e “disegna” a grandi linee le caratteristiche di un servizio inclusivo, che preveda un accesso gratuito ai minori in condizioni di povertà come livello essenziale delle prestazioni sociali per l’infanzia e un investimento nelle pari opportunità di accesso alla mensa in tutto il territorio italiano per contrastare la povertà alimentare. In linea generale, poi, ai Comuni si chiede di  garantire tariffe uniformi da applicare alle famiglie, residenti e non, secondo il principio della contribuzione progressiva, sulla base del livello economico fotografato dall’Isee e  “senza mai escludere dal servizio i bambini figli di genitori morosi”.

La rivoluzione del buon senso. Ci auguriamo che l’Anci ascolti.