Obbligare i genitori a dare ai figli il solo cognome del papà, e vietare invece quello della mamma, è incostituzionale perché viola l’uguaglianza tra uomo e donna. Lo ha deciso l’8 novembre la Corte Costituzionale, interpellata da una coppia di Genova alla quale l’anagrafe aveva negato la possibilità di chiamare il proprio bimbo sia con il cognome della mamma sia con quello del papà.
Il motivo va ricercato in quella consuetudine patriarcale – più volte condannata dai tribunali nazionali e internazionali – che deriva dal diritto latino e che prevede che i bambini vengano chiamati con il solo cognome paterno.
La sentenza della Corte arriva nonostante in Italia esista già da due anni un disegno di legge che sancisce il diritto dei genitori a scegliere il cognome che preferiscono. Si tratta però di una norma che, approvata alla Camera nel settembre 2014, è ancora ferma al Senato.
Questo disegno di legge era stata la risposta dell’Italia alla sentenza del 7 gennaio 2014 della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che aveva condannato il nostro Paese per aver violato i diritti di una coppia di coniugi milanesi che avevano tentato invano di dare alla figlia il cognome della madre.
In quell’occasione, i giudici di Strasburgo avevano obbligato l’Italia ad adottare riforme per eliminare l’attribuzione automatica del cognome del papà che, secondo loro, non era compatibile con il principio di uguaglianza previsto sia dalla Costituzione italiana (articolo 3), sia dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’uomo.
E ora che cosa succederà? Non molto, visto che la sentenza della Corte Costituzionale non fa sì che quella legge, rimasta in sospeso, entri in vigore. È necessario, infatti, che la norma, approvata alla Camera, ottenga anche il sì del Senato. “Di sicuro però questa sentenza aumenta la pressione dell’opinione pubblica sul Senato affinché riprenda in mano la legge e la approvi il più in fretta possibile”, ha spiegato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani.
Alle coppie che volessero far valere i propri diritti e mettere ai propri figli il cognome della mamma (o entrambi) toccherà però ancora la strada più lunga. “Dovranno continuare a fare ricorso a un tribunale che tuttavia, vista la sentenza, non potrà di certo dirgli di no”, ha precisato l’avvocato.
Il problema però non è solo giuridico, ma culturale. “Non si giustifica, se non con ragioni culturali, il fatto che si continui a dare ai bambini il solo cognome del padre. Nel nostro codice civile non esiste, infatti, alcuna legge che lo imponga o che vieti di fare il contrario”, ha precisato l’avvocato.
Eppure toccare il cognome paterno nel nostro Paese sembra essere ancora un tabù. “L’Italia è sempre stata una nazione arretrata sul fronte delle conquiste per i diritti civili. È stato così per la legge sul divorzio, per la riforma del diritto di famiglia e – ha denunciato Gassani – anche per le unioni civili. Così, anche in questo caso, in tanti continuano a pensare che dare il cognome della madre a un figlio sia un attentato alla famiglia”.