L’ho mangiato tutto, il melograno. Ho schiacciato i chicchi sotto i denti, uno a uno, ne ho assaporato il succo agro e ho inghiottito i semi duri. Un melograno fatto di ignoranza, violenza, sospetto, insinuazioni. Un succo che sapeva di fango e veleno. Un seme fatto di vuoto, un vuoto nauseabondo che non deve, non dovrebbe, contribuire a generare nessun’altra pianta, non dovrebbe contribuire a dare nessun altro frutto.
A ogni passo che compio, spalle all’emiciclo, assaporo di nuovo il sapore di un chicco. Non sento i rumori dell’aula dietro di me, sento però nella mia testa le domande, “Sei colpevole?”. Un passo, un chicco, “Hai diffuso dei virus per poter vendere i vaccini?”. Un passo, un chicco, per strada la gente che mi additava: “È quella che scatena le epidemie.” Un passo, un chicco, “Deve morire con gli stessi virus che ha sparso.”
Ho appena letto una lettera ai miei colleghi della Camera. Una lettera che ho meditato per mesi, parola per parola. Una lettera che ho deciso di non permeare con lo stesso aspro del melograno che ho dovuto ingoiare io, anche se avrei voluto gridare quanto è stato difficile, quanta ingiustificata vergogna ho mandato giù assieme ai semi, quanto è ingiusto che una madre debba essere costretta a sostenere lo sguardo della figlia che le racconta di quanto di brutto i compagni le abbiano detto per cose che la madre non ha mai fatto. E io lo sapevo di non aver fatto nulla di ciò che mi veniva attribuito, ma non bastava, non contava. Ora l’ha sancito anche un tribunale, ma non basta nemmeno questo. Non basta a me.
Sono davanti alla porta, dietro di me tutto quello che ho passato, davanti un incarico in un importante centro di ricerca in Florida. Un secondo e sarò fuori, ma vi prego, non parlate di cervello in fuga nel mio caso, io ho fatto di tutto per restare.
Un secondo e tutto potrà ricominciare.
Nota dell’autore: la metafora del melograno, che trovo eccezionalmente azzeccata, non è mia ma della stessa Ilaria Capua, che ne scrive qui: http://www.ilariacapua.eu/le-scuse-e-il-melograno