Chissà quale algoritmo di Facebook ha fatto comparire sulla mia bacheca un mostro: occhi a bottone, coloratissimo, salopette con tasca che nasconde chissà quali segreti. Le risposte nei commenti sono firmate Roberta Cibeu, la mostriciattolaia.
Scusi Roberta, ha voglia di raccontare che razza di mestiere è?
“Ma certo che ne ho voglia”.
Una storia un po’ magica, in un certo senso – la definisce – che inizia con un lutto: “Cinque anni fa, purtroppo, ho perso mia madre, di una malattia fulminante, in un tempo davvero breve. Lei era l’unica nonna del mio bimbo, che le era molto affezionato. Quindi per noi, reduci pure dalla separazione con il papà di mio figlio, la vita è stata, in quel periodo, piuttosto impegnativa”.
Sebastiano aveva quasi 4 anni: “Cominciò a raccontarmi del suo mostro, che mangiava i mostri cattivi della notte… avendo sempre avuto un grande interesse per la psicologia e avendo anche fatto un lungo percorso io stessa, di terapia, in passato, capii subito che mi stava parlando del suo dolore. E così lasciavo che mi parlasse di questo suo mostro immaginario… che si chiamava, guarda caso, mostro113, come il numero delle richieste di aiuto”.
Roberta, classe 1974, lavora per vivere e mantenere la sua famiglia: “In quel periodo facevo la pizzaiola, lavoravo per il papà di mio figlio: confesso che non era affatto facile, né ero particolarmente soddisfatta. Non sapevo come sfuggirne, a dire il vero. Ma sai, il mutuo, un bambino, mica puoi permetterti di mollare tutto!”.
Poi, un pomeriggio, “il giorno del compleanno di mio fratello, per essere precisa, Seba mi chiese di “fargli il mostro”. E ne fui contenta, perché sono sempre stata una persona creativa. Allora prendemmo un pezzo di pannolenci e comprammo, in Slovenia – io sono di Trieste – un libro che mostrava come fare mostri di pezza. Da una scatola di bottoni ereditata dalla mia mamma ricavammo gli occhi e nacque il Mostro113. Seba ci legò uno spago rosso o lo esibì tutta la sera con un tale orgoglio! Diventò il suo feticcio, se lo trascinava dietro ovunque: all’asilo, a casa, ai giardinetti… e a me piacque molto. Così, di notte, mentre lui dormiva, io mi cimentavo nella creazione di altri mostri. Mi faceva stare bene! E lui pensava che i mostri nascessero da sé“.
Anche le maestre dell’asilo vogliono saperne di più: “Cominciarono a chiedermi cosa fossero quei così che mio figlio portava con sé e, saputo, ne vollero anche loro. Poi le mamme me li chiesero e poi iniziarono a chiedermene sempre di più specifici. Per un anno fu un hobby, una sorta di secondo lavoro, ma non ci speravo mica, sai...”.
Le richiste aumentavano, “il mio entusiasmo non scemava e… Un “bel” dì fui licenziata, al compimento dei 40 anni, e mi dissi che avrei dovuto crederci, in onore anche di mia madre. Aprii il LaboNegozio dove lavoro, ora, come mostriciattolaia! Faccio mostri, sento storie, aiuto persone senza pretese di fare terapia, ma con tanta gioia nel cuore e una nuova vita”.
Oggi c’è un mostro per ogni problema, per ogni paura: quella del buio, la difficoltà ad addormentarsi, i trasferimenti notturni nel lettone di mamma e papà, gli incubi. Mica solo per bambini: il Mangiaansia, con la sua nube sulla testa, esprime uno stato d’animo e aiuta a superarlo “anche i più cresciutelli”. E per quei bambini che faticano a restare fermi, a concentrarsi e a seguire le lezioni, c’è Ipermostro, specializzato in calma e concentrazione. I prezzi partono da 39 euro, e c’è la possibilità di chiedere mostri personalizzati. Ogni pupazzo artigianale è un pezzo unico interamente fatto a mano, tessuto lavabile morbido e caldo .
Come funzionano i Mostri113? Insieme a ciascuno arriva un Rituale di Attivazione segreto, che – per funzionare – deve essere compiuto dal bambino insieme al genitore. “In questo modo – spiega Roberta – si crea l’alleanza con il Mostro113 e si rafforza la comunicazione con mamma e papà. É in questa fase che il bimbo potrebbe lasciarsi sfuggire qualche rivelazione inaspettata: per i genitori, la parte più preziosa del rituale è ascoltare ogni parola. Una volta che il pupazzo è attivato, il bambino e i genitori potranno discutere sulla difficoltà da affrontare, scrivendola o disegnandola su un foglietto da inserire nella bocca del Mangiapaure. Morso dopo morso, il pupazzo si ciberà del bigliettino, da spezzettare con la frequenza che i genitori riterranno adatta in base alle esigenze e alle esternazioni del bambino che, procedendo per gradi, potrà elaborare con i giusti tempi il cambiamento e comunicare l’evoluzione della sua paura. Quando verrà il momento, il Mangiapaure mangerà tutto il bigliettino e la difficoltà sarà superata”.
E quando la paura è passata, arriva la fase più importante di tutte: “Si va a festeggiare con un gelato, una passeggiata, un po’ di tempo felice da trascorrere insieme. Il Mangiapaure avrà svolto il suo compito ma sarà pronto a essere imboccato con una nuova paura tutta da mangiare”. I Mostri113 mangiano le paure, ma non solo: “Sono piuttosto alleati per sconfiggere, in generale, le proprie difficoltà. Mostri di soccorso, insomma. I bambini esprimono le difficoltà, spesso, in paure, ma i Mostri113 si rivolgono anche agli adulti, che esprimono le loro difficoltà in modalità diversa, ad esempio tramite ansia o rabbia.
Intanto la pattuglia cresce: in questo periodo di inserimenti al nido e primi giorni di scuola il più richiesto è quello con mamma e bebè (che si separano e poi tornano insieme), mentre uno Scacciabua è finito nel kit di benvenuto per i piccoli pazienti dell’ospedale Burlo Garofalo di Trieste. E da quest’anno una scuola – l’istituto dell’infanzia comunale Guido Pollitzer, grazie all’insegnante Giuliana Bogneri – metterà in campo un intero set di Mostri, per insegnare ai bambini come dare un nome alle emozioni, senza averne paura.