C’è una canzone che in Italia prima o poi ti cantano per forza, se fai il calciatore e se tiri i rigori. Dice più o meno che non bisogna aver paura, perché tanto non è da un rigore che si giudica un giocatore.
Facile dirlo, se non sei all’Old Trafford di Manchester e non ti tocca calciare il rigore decisivo nella finale di Champions League con qualche miliardo di occhi addosso. Che, poi, i rigori sono bestie strane, ci sono calciatori che sembrano brutti e cattivi che non ce la fanno neanche a presentarsi dal dischetto, come Kaladze o Montero, che questa sera hanno fatto finta di non aver paura, invece hanno tirato dritto dritto sui piedi del portiere. E poi ci sono campioni a cui tremano le gambe quando è il loro turno. Son passati vent’anni, ma tutti si ricordano di Falcao che non ebbe il coraggio di tirarlo contro quel portiere ballerino del Liverpool nell’83.
Io invece non vedo l’ora. Non vedo l’ora di calciarlo, altro che gambe che tremano. Voglio far finire ‘sta partita infinita, la prima finale con due squadra italiane, noi e la Juventus, e in semifinale c’era anche l’Inter e li abbiamo buttati fuori. Comunque, i favoriti erano loro anche senza Nedved, non noi, e invece se la sono fatta sotto, Inzaghi sembrava indemoniato e solo le manone di Buffon li hanno portati fino ai rigori, ha tirato fuori un colpo di testa di Pippo che neanche Superman…
E ora ce l’ho io Buffon davanti, con la sua maglia rosa, e si dice sempre che per chi calcia la porta è piccola e il portiere enorme, figuratevi Buffon che di rigori stasera ne ha già presi due (ma Dida tre, anche se più che altro lo ha centrato chi ha calciato). Comunque, sono fortunato a non avere davanti un portiere ballerino che fa il buffone, perché forse lo sbaglierei. Soprattutto se giocasse nel Liverpool. Ma non è un problema di oggi. Oggi c’è Buffon in porta, e io lo vedo piccolo, voglio calciare, continuo a guardare l’arbitro Merk e la sua faccia da comico, il pallone, l’arbitro, il pallone.
Parto. Calcio. Non ho neanche bisogno di aspettare il secondo tra il momento in cui il mio destro colpisce la palla e la rete si gonfia.
So come andrà a finire.
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Un secondo. Quanto dura un secondo? Così poco che per scrivere queste poche parole ne ho impiegati una decina. Però non tutti i secondi sono uguali. Alcuni hanno il potere di dilatarsi sino a segnare l’avvenire. Il secondo in cui abbiamo chiuso gli occhi per il nostro primo bacio, quello in cui sono venuti al mondo i nostri figli, quello in cui abbiamo salutato per sempre una persona cara. Questi ce li ricordiamo tutti. Ma il secondo precedente cos’è successo? Quale tumulto agitava le nostre menti e i nostri cuori? Ecco, le storie della domenica racconteranno questi “secondi prima” dei secondi eterni, quelli in cui gli occhi stavamo per chiuderli, le mani per lasciarle o prenderle. Momenti veri o immaginari, vissuti da personaggi più o meno pubblici o ignoti o anche solo da me (ogni autore è narcisista). Perché forse ce li siamo scordati, eppure non sono mai andati via. Quali sono i “Secondi Prima” dei secondi che hanno cambiato la vostra vita? Raccontateli a giulianopasini@gmail.com e, se vorrete, diventeranno storie.