Nel 1926 il nome dato più frequente alle bambine era Maria: oggi sono Sofia e Giulia. Quattro generazioni si sono succedute nella storia del Paese, da quella della ricostruzione a quella delle reti. A tracciare i percorsi di vita delle italiane e degli italiani è stato il presidente dell’Istat Giorgio Alleva, presentando il rapporto Annuale 2016. Maria nasce in un’Italia povera e arretrata e vive la Secondo Guerra mondiale; seguono Anna, Francesca e Giulia. Nel 2014 il nome piu’ diffuso tra le neonate è stato Sofia (7.353), seguito da Giulia (6.729) e Aurora (5.709). Ma come è cambiata la vita di generazione in generazione?
Vivono di più, studiano di più, si sposano più tardi e fanno meno figli. La fotografia che restituisce l’Istat delle donne italiane potrebbe essere riassunta in questo modo. E proprio le donne sono state prese ad esempio per descrivere i cambiamenti di tre generazioni a confronto dal presidente dell’istituto, Giuseppe Alleva, ieri alla presentazione del Rapporto annuale 2016. “Nel 2016 – ha sottolineato Alleva – ritroviamo tre donne: Maria, Anna e Francesca. Maria compie 90 anni, superando di molto la sua speranza di vita alla nascita che era di 52 anni; delle nate nel 1926, 24 su cento sono ancora vive; Anna, sua figlia di 64 anni, è sposata da più di 40 anni ed è appena andata in pensione dopo molti anni di lavoro come operaia e poi impiegata nell’industria. Ora è vedova ed è aiutata da Oxana, una cittadina ucraina che si occupa di Maria. Francesca ha appena compiuto 40 anni, si sta separando dal marito e fa la ricercatrice con un contratto a termine. La speranza di vita quando nasce sua figlia Giulia è di quasi 85 anni”.
Ma stiamo meglio o stiamo peggio? Dipende da che parte guardiamo la realtà. Mettendo in fila l’enorme massa di dati pubblicati dall’Istat, potremmo iniziare dall’uscita di casa delle ragazze: tra i 25 e i 29 anni più una giovane su due vive ancora in famiglia (54,7%). Certo il dato è inferiore a quello maschile (70,1%), ma certo è lontano dai livelli di altri paesi europei centro-settentrionali. All’uscita da casa quasi il 50% delle donne si sposa, ma a un’età media che è andata aumentando con gli anni dai 25 anni del 1976 ai 30,7 dello scorso anno. E’ andata di conseguenza crescendo anche l’età del primo figlio dalita da 27,5 a 31,6 anni, mentre al contempo è sceso drammaticamente il numero di figli per donna da 2,11 a 1,35. Tanto che le famiglia sono scese da una media di 4 componenti del 1952 a 2,3 quest’anno.
La vita è cambiata non solo nel privato, ma anche nell’ambito professionale. Un dato confortante è che si è passati da 7 donne su 10 che al momento del matrimonio erano casalinghe nel 1952 al 18% di quest’anno. E’ andato crescendo, quindi, il tasso di attività femminile dal 26% del 1952 al 54,1%. Certo resta ancora lontano il livello raggiunto da quello maschile del 74,1%. Nota dolente tra i giovani: le giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet) sono quasi tre ogni dieci (27,1%) contro una media più bassa e la percentuale triplica fra le mamme, raggiungendo il 64,9%. Mentre in altre fasce di età aumentano le famiglie in cui a lavorare è solo la donna: dal 7,2% del 2004 si è passati nel 2015 al 10,7%.
Insomma, a conti fatti qualche passo avanti è stato realizzato, ma l’Italia resta un Paese non a misura di donna. Ancora.