Le donne hanno un’avversione al rischio più alta degli uomini. Gli studi tradizionali hanno continuato a ripeterci che i leader uomini sono abituati a rischire di più (colpa del testosterone) rispetto alle donne. Ma se poi non fosse davvero così? La novità arriva dalla Harvard Business Review che ha analizzato i dati di 75mila leader a livello mondiale in base a un “Boldness Index” (l’indice dell’audacia), che ha preso in esame sette comportamenti:
- approccio standard alle sfide
- Creare un’atmosfera di miglioramento continuo
- Fare tutto il possibile per raggiungere gli obiettivo
- Ottenere che gli altri vadano al di là di quello che originariamente hanno pensato possibile
- Incoraggiare gli altri ad assumere obiettivi impegnativi
- Riconosce rapidamente le situazioni in cui è necessario il cambiamento
- Avere il coraggio di fare i cambiamenti necessari
Se questi sono i parametri in base ai quali viene definito il grado di audacia, risulta dall’analisi dei dati che le donne in media raggiungono un livello di 52 contro il 49 degli uomini. Risultano, perciò, leader più audaci.
Certo l’analisi è affascinante, ma credo che sia ora di mettere da parte certe “misurazioni”. Ci importa davvero fare un’analisi dei leader internazionali per sapere chi è più audace e chi meno? Chi corre più rischi e chi meno?
Che uomini e donne abbiano caratteristiche diverse, credo sia cosa assodata. Ma sulle caratteristiche comuni di un genere prevalgono inevitabilmente caratteristiche personali uniche. Allora nella scelta dei leader dovremmo guardare, di volta in volta, a quelle sette caratteristiche che ci indivano dall’Harvard Business Review e scegliere in base al caso specifico.
Nel 2003, quando Umberto Agnelli chiamò a guidare la Fiat Sergio Marchionne, i cronisti di finanza dovettero ingegnarsi per scoprire chi fosse. Al manager toccò subito una patata bollente: l’opzione put in mano a Gm. Se il gruppo americano l’avesse esercitata il gruppo italiano sarebbe stato in gravi difficoltà. Allora Marchionne rischò, portò avanti una trattativa intensa e dura e alla fine Fiat ne usci incassando 2 miliardi di dollari.
Nel 2008, invece, Monica Mondardini è arrivata ai vertici di L’Espresso, ha guidato il gruppo nelle secche della crisi e ha portato Repubblica al matrimonio con La Stampa. Diventando nel frattempo anche il numero uno di Cir, il gruppo che controlla L’Espresso. E ieri ha ricevuto la Legion d’Onore francese.
Questione di genere? Ci sono tanti manager che hanno poco da spartire con Marchionne. Così come tante professioniste che non hanno nulla in comune con Mondardini. E chissà, invece, che Marchionne e Mondardini non condividano, invece, lo stesso score nell’indice della Harvard Business Review.