Qualche tempo fa ricordavo con mio marito le sensazioni legate ai primissimi momenti a casa tutti e quattro, appena rientrati dall’Etiopia con le bambine. Atterrati all’alba sul suolo italiano, ancora in aeroporto, abbiamo fatto colazione al bar: naturalmente croissant alla nutella per tutti! Che noi abbiamo addentato con gioia e che le bambine, dopo il primo boccone, hanno lasciato urlando disgustate: “Bleah! No piace!”. Ma come “no piace”? Due bambini che dicono no a brioche e nutella? E lo stesso copione si è ripetuto qualche giorno dopo con la pizza, una vera pugnalata al cuore per due genitori italiani!
Per non parlare della sensazione che mi ha investito la prima volta che sono andata a fare la spesa per quattro. Mi aggiravo per il supermercato con la lista in mano, che poi era la solita, quella con le cose che come coppia avevamo sempre comprato, e mi sono detta: “E adesso?”. Sono stata parecchio tempo ferma tra le corsie senza sapere bene da che parte andare. Dovevo fare la spesa per le mie figlie e non conoscevo i loro gusti! Che verdura mangeranno? E la frutta? E lo yogurt? Meglio alla fragola o alla banana?
L’adozione si fonda su un grande azzardo: l’ingresso nello spazio di una coppia di un estraneo che nel momento in cui arriva è però già figlio, la vicinanza più grande che si possa immaginare. Estraneità e vicinanza coincidono vertiginosamente.
La parola adozione deriva dal latino adoptare, composto di ad- “verso” e optare “desiderare, scegliere”. La scelta è alla base dell’adozione: scegliere di accogliere il diverso. Il bambino che arriva in adozione in una famiglia è diverso per definizione, in primis perché generato da altri. E, inoltre, ha già una sua storia, della quale noi non facciamo parte. Anche il neonato, a dispetto del pensiero comune, ha già un suo vissuto, anche se fatto unicamente di sensazioni ed emozioni.
È importante accogliere senza giudizio questa storia, con tutta la sua sofferenza, anche se è totalmente estranea alla nostra esperienza (socialmente o culturalmente) perché fa parte del vissuto del bambino. Lui è anche quella storia e se non siamo noi i primi ad accoglierla, come potrà farlo lui? Ed è proprio nell’accoglienza di questa diversità che avviene la nascita della nuova famiglia, che intreccerà le due storie, quella del bambino e quella degli adulti, creando un nuovo racconto fatto anche di somiglianza.
Oltre all’estraneità, nell’adozione internazionale si aggiungono poi anche la diversità somatica e, se il figlio è già grandicello, la diversità culturale e linguistica. La diversità non va negata o sminuita, ma deve essere riconosciuta, accettata e infine accolta per poter essere valorizzata e trasformarsi così in una risorsa. È importante parlarne. Per accogliere la diversità noi adulti dobbiamo lavorare sull’apertura, sullo smussamento delle rigidità e soprattutto sull’azzeramento delle aspettative.
Anche i bambini, non dimentichiamolo, fanno un grande lavoro per superare la diffidenza verso il diverso. Le mie figlie, per esempio, quando ci hanno incontrato per la prima volta, avevano un po’ di timore, normale nell’incontro con due adulti sconosciuti, ho pensato. Ma non era solo questo, l’ho scoperto mesi dopo, quando me l’hanno raccontato. Gli altri bambini dell’istituto gli avevano detto che le persone con gli occhi azzurri hanno poteri magici. E noi entrambi abbiamo gli occhi azzurri! Ed era la prima volta che loro incontravano così da vicino due persone con gli occhi di quel colore. Ma i bambini non sono rigidi, sono curiosi per natura e, sulla paura dei primi istanti, è prevalsa l’apertura. Come spesso accade, è proprio dai bambini, dalla loro spontaneità che dobbiamo imparare.