Davanzali, cosce e natiche per sponsorizzare macchine del caffé, polizze assicurative o caldaie. La fiera dell’oggettivazione della donna sui cartelloni pubblicitari dà il suo meglio in provincia. Ci sono comuni che sono corsi ai ripari per evitare la degenerazione del fenomeno, come Roma che ha detto basta alle pubblicità che usano il corpo femminile soprattutto se suggeriscono sottomissione o supremazia di genere.
In realtà esiste anche un protocollo d’intesa siglato da Anci e l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, del marzo 2014, per il rispetto della dignità della donna e del principio di pari opportunità. Così come esiste un protocollo d’intesa con il Dipartimento delle Pari Opportunità, sullo stesso tema.
Questo non vuol dire che in Italia la cartellonistica sia migliorata di molto e le campagne fatte a riguardo restano sempre di nicchia. Nel mondo anglosassone le battaglie sono ben più aspre e globali:
La questione non si limita all’oggettivare il corpo femminile: la pubblicità in Italia spesso perpetua stereotipi (ne parleremo un’altra volta) e crea modelli anche fisici a cui aspirare soprattutto per i giovani. Questo secondo caso è il banco di prova soprattutto della cosmetica, un settore che sta percorrendo la via dell’autoregolamentazione. Se ne parlerà oggi al convegno internazionale di Cosmetica Italia in apertura del Cosmoprof a Bologna: “Tra ragione e sentimento: i linguaggi della cosmetica”. Consumatori, istituzioni e imprese si confronteranno sull’evoluzione della comunicazione nel settore. Un inizio per un linguaggio diverso.