Il “Secondo Prima” di questa settimana è un regalo. Un regalo che Laura Magna ha voluto fare a tutti i lettori di Alley Oop. Il mio intervento è stato minimo, era già un racconto meraviglioso, e leggendolo capirete perché non potevo aggiungere molto. È la prima volta che un lettore del blog segnala un suo momento e, davvero, miglior inizio non poteva esserci.
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C’era lui, accanto a me. E sembrava il più teso di tutti. Pallidissimo. «Si sieda» gli dicono le ostetriche. A lui, capite? Mi viene da sorridere, sei sempre stato un fifone, vorrei dirgli, di quelli che non vogliono sentire particolari cruenti, che si tappano le orecchie e fanno versacci per coprire la voce di chi racconta…
Ma non riesco a dire niente perché arriva una fitta feroce. Respiro. «Forza, lei è una mamma esperta!» dice l’ostetrica, asettica, professionale, una persona che non ho mai visto prima e che vedrà per prima la mia bambina. Si fa presto a dire esperta. È vero che compio quarant’anni tra due mesi, e che è la mia terza volta, ma mi sembra di non sapere cosa stia per accadere. Cinque, sei, sette, ripeto i numeri nella mente. E sento le lacrime solcarmi il viso. Ho paura, paura che qualcosa vada storto, paura di essere troppo vecchia, paura che il mio corpo non sia più in grado di fare quello che sta per fare, paura di non meritare questo miracolo per la terza volta.
«Otto, nove…» continuo ad alta voce. Qualcosa cambia dentro di me. «Si sono rotte le acque!» Mio marito sembra riprendersi. «Che ne sai?» dice, calcando sul punto interrogativo, e mi fa ridere, una benedizione. «Come che ne so? Sta succedendo qui, adesso, a me… Ci siamo. Ci siamo.»
Ecco quell’ondata accecante di dolore. Il dolore. È l’unica cosa di cui si parla tra gestanti. Farà male, lo sopporterò, mi si spaccherà il bacino in due, quanto durerà, sarà meglio o peggio dell’appendicite? «Il dolore è sopravvalutato». Lo dissi al mio primo parto, nel bel mezzo delle contrazioni finali, alla persona che avevo davanti, l’ombretto blu, le guance rosse, come un tenero pagliaccio con il camice verde. Lo penso ancora, anche adesso che…
Sono sicura, sta accadendo. Sta accadendo a me, qui e ora. Il più teso è sempre lui, l’unico uomo nella stanza, con una mano mi accarezza una spalla, con l’altra si tiene la mascella. Penso al tonfo del suo corpo sulla sedia quando sentirà: «Papà, papà, si vedono i capelli». Se non facesse così male, scoppierei a ridere di nuovo.
Ricordo il momento esatto in cui sentii di averla concepita, gongolavo all’idea che un esserino nuovo di zecca sarebbe cresciuto nella mia pancia, e che era giusto così, non c’era un solo motivo per cui non sarebbe dovuto accadere.
Sono pronta e so che anche lei lo è. Arriva l’ultimo secondo in cui può stare con me, dentro la sua casa fatta di pelle e muscoli e sangue e pulsazioni, respiri, sospiri. Tesoro, si va in scena, siamo io e te… non ascoltare le altre voci, fa’ quello che devi. Io intanto chiudo gli occhi e urlo con quanto fiato ho in gola.
Non spaventarti, piccola mia, segui quell’urlo e vieni qui da me.
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Un secondo. Quanto dura un secondo? Così poco che per scrivere queste poche parole ne ho impiegati una decina. Però non tutti i secondi sono uguali. Alcuni hanno il potere di dilatarsi sino a segnare l’avvenire. Il secondo in cui abbiamo chiuso gli occhi per il nostro primo bacio, quello in cui sono venuti al mondo i nostri figli, quello in cui abbiamo salutato per sempre una persona cara. Questi ce li ricordiamo tutti. Ma il secondo precedente cos’è successo? Quale tumulto agitava le nostre menti e i nostri cuori? Ecco, le storie della domenica racconteranno questi “secondi prima” dei secondi eterni, quelli in cui gli occhi stavamo per chiuderli, le mani per lasciarle o prenderle. Momenti veri o immaginari, vissuti da personaggi più o meno pubblici o ignoti o anche solo da me (ogni autore è narcisista). Perché forse ce li siamo scordati, eppure non sono mai andati via. Quali sono i “Secondi Prima” dei secondi che hanno cambiato la vostra vita? Raccontateli a giulianopasini@gmail.com e, se vorrete, diventeranno storie.