“Le bambine giocano con la bambola perché devono imparare a fare le mamme da grandi”. “Ma i maschi non devono imparare a fare i papà?” ha chiesto la maestra.
Il passaggio non è in uno di quei libri da teoria gender che si teme che possano arrivare in classe con la riforma della Buona Scuola, ma in “Che differenza c’è”. Un libro di Colombo Ranzini, Costantino Cusino e Ghirardotti Appendino (sì tutti e tre con doppio cognome) pubblicato da Atlas negli anni ’70, sulla differenza fra bambini e bambine, che ho scovato da un rigattiere.
In una classe elementare i compagni discutono, come avviene ogni giorno in ogni classe. “Io non giocherei mai i giochi dei maschi, perché ci volete sempre comandare!”. “Certo, perché sono i maschi che comandano!”. Oppure: “Mio papà lavora e porta i soldi a casa”. “Le mamme stanno in casa perché devono guardare i bambini e fare i lavori”. C’è anche la mamma che lavora alla Fiat e poi fa la spesa, prepara la cena, lava i piatti e rassetta casa mentre il resto della famiglia guarda il Carosello. Ma non manca il papà che lava i piatti a volte e fa sempre la spesa lui.
La maestra li porta a riflettere su quello che raccontano. Lavare, stirare e cucinare non sono un lavoro? E i papà non devono curare i propri figli? “Ma sono cose da femmine” ribattono i bambini, che pensano che le bambine non debbano sporcarsi, dire le parolacce, giocare alla guerra, sedersi a gambe per aria, fare urlacci, comandare perché devono trovarsi un marito. Ma a Marina piace fare la lotta, gridare forte e correre con i maschi. A Paolo, invece, piace giocare con un bambolotto di lana con cui dorme anche, ma che non può portare a scuola per non far fare figuracce alla mamma.
La maestra risolve la questione con una favola: in un paese di gatti i maschi escono a caccia, le femmine stanno a casa. I maschi non riescono a catturare un topo particolrmente pericoloso. Una notte ci riesce una gatta “indipendente”. E il libro termina con questa frase: “Forse è proprio da allora che i gatti, maschi e femmine, vanno insieme a caccia di topi”.
Perché vi ho raccontato questo libro? Perché questo semplice volumetto di 40 anni fa spiega bene cos’è l’educazione di genere. Non c’entra affatto con la scelta della propria identità sessuale. A scuola non insegneranno ai nostri figli a essere gay, lesbiche o trans. Insegneranno il valore della diversità, il rispetto per chi non è come noi, la conoscenza l’uno dell’altra. Perché non ci siano più cose da femmine e cose da maschi. Nessuno studio scientifico ha dimostrato che le donne hanno nel dna maggiore capacità di lavare i piatti o stirare, così come non hanno dimostrato che gli uomini sono più portati all’ingegneria o alla leadership. E c’era chi tentava di insegnarlo ai bambini già 40 anni fa. La “teoria gender”? Tanto rumore per nulla!