Anna Gatti: le startup italiane viste dalla Silicon Valley

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Anna Gatti negli studi Rai

“Negli Stati Uniti un giovane di 20-25 anni pensa di poter cambiare il mondo. In Italia pensa di non poter far nulla di eccezionale e punta a un posto fisso”. Anna Gatti, classe 1972, vive fra gli States e l’Italia per lavoro e crede che questa sia la differenza fra i due Paesi che colpisce di più. Dopo una laurea in Economia e un PhD alla Bocconi, Gatti ha proseguito le attività di ricerca fra Trento, Stanford e Berkeley. Ha lavorato inizialmente presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per poi diventare partner di MyQube – Telecom Italia Venture Fund e fare esperienze nei maggiori gruppi tecnologici americani: Google, YouTube e Skype. Siede nei cda di Rai Way, Piquadro e Banzai. Eppure se la cercate su Google il primo articolo che appare contesta i suoi titoli. Il curriculum è tutto vero?

“Lo scorso anno il mio ex socio in Loop AI Lab ha depositato una denuncia contestando i miei titoli. Ad oggi non sono state trovate evidenze di ciò che contestano. Allora il suo avvocato, la sorella, aveva fatto richiesta di informazioni alle Università e gli enti non hanno dato le informazioni richieste perché non li avevo autorizzati a farlo. Tutto qui”, spiega Gatti, aggiungendo: “In Raiway, dove siedo nel cda, c’è stata una inchiesta interna e sono stati verificati tutti i titoli del mio cv. Il caso si è chiuso lì. Anche la stampa italiana ha pubblicato la smentita alla notizia dopo aver ricevuto la documentazione dai miei avvocati”.

In Italia sta diventando sempre più dinamico il mondo delle startup tecnologiche, quanti anni luce siamo ancora indietro rispetto alla Silicon Valley?
In Italia manca ancora il mercato dell’exit per garantire un futuro e una crescita alle startup. C’è sicuramente molta creatività e imprenditorialità anche in un contesto non ottimale. Gli investimenti, però, rischiano di non essere appealing. In Usa l’investitore ha un orizzonte temporale di uscita fra i 5 e i 10 anni. Qui in Italia rischia di non averlo. I miei investimenti come business angel, ad esempio, non hanno avuto esiti.

Manca una strategia di lungo termine?
Negli Stati Uniti quando si fonda una startup si ha un orizzonte temporale di uscita e si ha l’obiettivo di essere acquisiti, magari da un gruppo industriale di grandi dimensioni. In Italia il mercato delle acquisizioni e fusioni (M&A) non è ancora sufficientemente sviluppato per valorizzare le nuove realtà.

Ci sono altri fattori che limitano gli investimenti esteri in Italia?
La percezione dall’estero è che il mercato del lavoro sia ancora ingessato. A questo si unisce la burocrazia. Gli investitori istituzionali esteri non rischiano di giocare con carte che non conoscono.

Cosa hai imparato in Google?
E’ stata la mia nave scuola. Ho imparato che la leadership non è riconosciuta in base alla posizione ma in base alla competenze e le competenze vengono sempre riconosciute tanto che anche il più junior in azienda, se competente, ha il diritto dovere di sedere al tavolo più alto. Ho imparato che il fallimento è un momento di crescita e che bisogna iniziare ad agire per il ruolo che si vuole avere senza aspettare di averlo (act like a leader before you are one).

In Youtube e Skype?
La condivisione, l’abbattere le barriere. Come in Google, anche in Youtube c’erano gli eventi del venerdì Tgif (Thanks God is friday) e dalle 16.30 ci si ritrovava in un salone a bere e parlare e partecipavano tutti i livelli aziendali anche i fondatori: un momento di condivisione importante. In Skype ho imparato, invece, la fase di ristrutturazione aziendale e quanto sia fondamentale la variabile della cultura aziendale.

Una lezione di un tuo capo/a che non scorderai?
Ho sempre avuto cape donne e il messaggio che passavano è: un buon capo deve dare l’opportunità a chi lavora con lui, ma allo stesso tempo deve dare la libertà di scegliere se cogliere quell’opportunità. Lasciare che gli altri falliscano è una forma di rispetto. Un leader capace, poi, se ualcuno sta in ufficio oltre l’orario il deve porsi una domanda: o ha dato un carico di lavoro eccessivo oppure non è la persona giusta per ricoprire quel ruolo.

Perché la scelta dell’impegno in cda italiani?
E’ un’opportunità perché mi permette di mantenere una visione strategica e di stare a contatto con l’economia del mio Paese. Inoltre posso trasferire in Italia quanto imparo in Usa e allo stesso tempo ho l’opportunità di incontrare persone davvero valide in grado di competere a livello internazionale come professionalità.

In quale cda avresti voluto sedere?
In Google ai tempi della quotazione

Cosa avresti voluto sapere a 20 anni che hai imparato a 40?
Aver meno paura di sbagliare, non aver paura di cambiare, di osare. Think bigger. E soprattutto non aspettare che altri credano in te, credi tu prima in te stessa.

Dove ti vedi fra 10 anni?
Mi vedo seduta in board, con una maggiore esperienza operativa. Non escludo poi di tornare al venture capital.

Cosa ti fa alzare la mattina?
La voglia di imparare e costruire.

Quale consiglio daresti a un giovane (uomo) che vuole fare la tua carriera?
Vai all’estero, lavora con donne e prenditi il congedo parentale quando arriverà il momento.