I film e le eroine sono cambiati nel tempo, ma nella filmografia dei bambini di oggi si alternano solo di giorno in giorno. Se oggi seguono le avventure di Oceania, domani magari si ritrovano nel mondo di Cenerentola. Quasi come non fosse passero passati decenni e decenni tra l’una e l’altra. Eppure tra il primo e il secondo c’è un abisso, anche se ci sono aspetti che sopravvivono. Nei classici di animazione della Disney dedicati alle principesse, ad esempio, i personaggi maschili parlano decisamente di più di quelli femminili e questo nonostante l’evoluzione del modello. Il dato era emerso dall’analisi dei dialoghi di 12 lungometraggi (da Biancaneve a Frozen) effettuata da due linguiste Carmen Fought del Pitzer College e Karen Eisenhauer della North Carolina State University. Per fare un esempio ne La Sirenetta, pur incentrato su una protagonista considerata dalla critica la prima principessa moderna, i dialoghi dei personaggi maschili superano quelli femminili in un rapporto 3 a 1. E’ anche vero che ne La Sirenetta la protagonista, Ariel, perde la voce a circa metà trama, ma nei successivi cinque lungometraggi le donne parlano anche meno.
I risultati dell’analisi, anticipati dal Washington Post e non a caso riportati nel recentissimo numero speciale di National Geographic intitolato “Gender Revolution”, ci dicono molto su cosa questi film, spesso guardati a ripetizione dai ragazzi, trasmettano sui ruoli di genere. “Non crediamo che le bambine abbiano naturalmente un certo modo di giocare – ha dichiarato la Fought al Washington Post – non sono nate con una predilezione per il colore rosa. A un certo punto siamo noi a insegnarglielo. Così la vera domanda è da dove le ragazze attingono le proprie idee su cosa comporti l’essere una ragazza?”. Ma il numero di parole pronunciate non restituisce certo uno spaccato completo di come il ruolo femminile venga rappresentato in questi lungometraggi. Per questo gli studi della Fought e della Eisenhauer si sono concentrati anche sui complimenti rivolti alle protagoniste.
In questo caso è emerso che, complessivamente, le principesse Disney ricevono sette volte più complimenti per il proprio aspetto che per le loro capacità e azioni. Il ruolo di donna che emerge dai film Disney è quindi quello di bella statuina? Sarebbe francamente riduttivo. Non bisogna dimenticare che questi dati vanno letti nel contesto storico in cui i film della Disney sono nati e, in questo senso, il trend evolutivo è sicuramente positivo. A partire da (1937) Biancaneve per arrivare fino a (2013) Elsa e Anna il rapporto aspetto fisico/qualità personali cambia radicalmente. Se le prime principesse Disney contavano essenzialmente sulla propria bellezza, la grazia e (sic!) le immancabili e ammalianti capacità canore, le ultime eroine si sono sempre distinte per ben altre doti. L’indipendenza e la tenacia di Tiana, principessa Afroamericana de “La Principessa e il Ranocchio”, L’altruismo e il coraggio di Elsa e Anna in “Frozen”, per non parlare dell’intelligenza e intraprendenza di Merida la rossa e riottosa principessa scozzese di “Ribelle”, pronta a tutto per mantenere la propria libertà e indipendenza.
D’altra parte in ottanta anni non è cambiata radicalmente soltanto la società, ma anche la concezione e la posizione della donna: dal 1937 al 2017 sono passate almeno tre generazioni. Quando è nata Biancaneve le donne non avevano ancora ottenuto il diritto di voto, c’era una guerra mondiale alle porte e la Costituzione Italiana (con il suo articolo 3 “senza distinzione di (…) sesso”) non era ancora stata nemmeno immaginata. Nel 1937 il personaggio di Biancaneve era essenzialmente coerente con il contesto storico di riferimento. Anzi, ci si può addirittura spingere a dire che l’irritante immobilità di Biancaneve, splendida bambolina di porcellana, dotata di un’ingenuità ai limiti del ridicolo, inadatta a qualsiasi compito che non comportasse l’uso di una ramazza, nascondesse in sé anche delle qualità positive in un epoca così buia: la volontà di non farsi abbattere dalle avversità e la speranza in un futuro migliore.
E’ invece interessante analizzare come, coi tempi, questa immagine sia radicalmente cambiata: ogni principessa ha portato con sé un mattoncino che, poco per volta, ha contribuito a creare personaggi sempre più ricchi di qualità umane ed emancipati.
Così Cenerentola, pur appartenendo alla stessa impresa di pulizie della sua antesignana, ha un carattere più forte e si ribella alla matrigna. Aurora (la Bella Addormentata), vitale e scaltra come una scatola di tonno, sente di dover uscire dagli angusti spazi della sua vita da reclusa e si azzarda a parlare nel bosco con uno sconosciuto (guarda a caso il suo promesso sposo).
Ci vogliono 30 anni per passare dalla Bella Addormentata alla giovane Sirenetta, la nuova eroina anni ’90: emancipata, indipendente e ribelle al punto giusto. Peccato che rinunci a tutto cedendo la propria voce alla strega dei mari Ursula che ci tiene a ricordarle, in uno dei più bei numeri musicali del panorama Disney: “agli uomini le chiacchiere non vanno, si annoiano a sentire i bla, bla, bla…. Ai maschi la conversazione non fa effetto, il gentleman la evita se può, s’innamorano però di colei che sa tacer”. Si passa poi a Belle, giovane intellettuale (finalmente si parla anche di qualità intellettive) che, affetta da un grave caso di sindrome di Stoccolma, per la prima volta si fa essa stessa salvatrice del suo principe (la Bestia). Un rapido sguardo a Jasmine che, pur rimanendo nell’alveo delle principesse che devono essere salvate, prende coscienza della propria bellezza e si accorge che, in barba al mondo che la tiene prigioniera e la giudica solo per l’aspetto fisico, può usare proprio quella qualità, a suo favore. E’ con Pochaontas e Mulan che, però, avviene la vera svolta. Entrambe determinate, forti caratterialmente, tenaci nel raggiungere il proprio obiettivo che – sorpresa – non è più quello di sposare il principe azzurro, che passa decisamente in secondo piano, ma è quello di salvare il proprio popolo. E ci riescono! Per farlo, tuttavia, almeno Mulan, deve fingere quasi fino alla fine di essere ciò che non è, rinunciando al suo essere donna. Tiana (la Principessa e il Ranocchio) è l’incarnazione della donna moderna e disincantata che, contando sulle proprie capacità e qualità, realizza l’estremamente tangibile sogno di aprire un ristorante. Con Rapunzel (Tangled) ritorna lo stereotipo della principessa: bionda, bei vestiti, un po’ ingenua, capelli lunghissimi da pettinare (e chi non li pettinerebbe per ore). Ma qualcosa è cambiato, le sue qualità fisiche non vengono esaltate – la matrigna Gothel le ricorda che non è proprio una bellezza – e il suo obiettivo non è certo sposarsi (anche se, vedi il caso, questo accade sempre come incidente di percorso).
E finalmente arriva Merida. Si deve aspettare il 2006 per avere una principessa libera, indipendente, capace di avere chiaro in testa quello che vuole fare e di farlo per giunta. Abile al punto da battere i propri pretendenti e a conquistare da sola la propria libertà. E non è un caso che, tornando all’analisi delle due linguiste, sia proprio Merida quella in testa alla classifica. Ma il film nasconde qualcosa di più. L’intera trama è basata sul conflitto generazionale tra Merida e la Regina Madre, depositaria delle tradizioni di corte e simbolo della virtù domestiche e prettamente femminili (tenta invano di insegnare alla figlia il galateo e l’arte del filare). Insomma a ben guardare la protagonista, la ribelle, si trova faccia a faccia con una di quelle Biancaneve/Cenerentola/Aurora, invecchiate e diventate regine. Il confronto non è più soltanto generazionale, ma è anche uno scontro tra due modelli di donna che hanno tra loro lo spazio di un’intera evoluzione.
Con Frozen la grazia e la bellezza sono ormai orpelli che abbelliscono personaggi completamente caratterizzati da qualità (e dissidi) interiori. Anche l’amore di cui si parla è diverso. Ciò che scioglie il cuore ghiacciato di Anna, il vero amore, non è quello di un principe (che nel film – colpo di scena – è pure il cattivo) ma quello della sorella. E’ indubbio quindi che la Disney abbia compiuto, negli anni, un lavoro di modernizzazione delle figure femminili non indifferente. Negli stessi behind-the-scenes, i documentari che accompagnano ogni lungometraggio, si può cogliere lo sforzo degli autori di caratterizzare le principesse in modo tale da dare un immagine sempre più moderna di donna. Pur in questo panorama non si può, tuttavia, non notare come dalla ricerca di Fought ed Eisenhauer emerga qualcosa in più. Spesso questo sforzo non va oltre le principesse, donne attive che ottengono quello che vogliono ma che abitano un mondo in cui gli uomini parlano molto di più di loro e ricoprono ruoli di comando e potere. Allora, forse vale la pena di ricordare l’ultima principessa, quella più recente, Vaiana (2016), troppo recente per essere compresa nello studio delle due linguiste. Vaiana naviga (è proprio il caso di dirlo) nella stessa direzione delle ultime eroine Disney: figlia del capo villaggio, vive in un ambiente in cui non sembrano esserci grandi differenze di genere, infatti succederà al padre da sola, in assenza di una figura maschile (principe o pretendente che sia) che scompare del tutto. Concreta e intraprendente arriva fino a negare l’evidenza di essere una principessa perché – dice lei – le mancano i tratti distintivi. Inoltre in tutto il film non si cambia mai d’abito…Siamo proprio su un altro pianeta.