La vela è (davvero) uno sport per donne?

Qualche settimana fa la velista britannica Pip Hare, una delle sei donne che partecipa alla Vendée Globe  si è arresa dopo che il Medallia, con cui partecipava alla regata in solitaria intorno al mondo, ha disalberato 800 miglia a sud dell’Australia. In questa competizione estrema, la partecipazione femminile è ridotta (15%), ma nel mondo della vela più in generale c’è equilibrio di genere? Tracciamo un bilancio, tra passi in avanti e il lungo percorso ancora da fare.

A bordo, come nella vita

Sono 12 le donne che hanno preso parte alla Vendée Globe dal suo inizio nel 1989. Una sola, Ellen MacArthur, è salita sul podio, arrivando seconda nel 2000-2001, mentre un’altra – Clarissa Crémer – è stata “scaricata” dallo sponsor Banque Populaire a causa della maternità. (Per la cronaca: è poi riuscita a partecipare all’edizione in corso grazie alla sua determinazione e allo  sponsor Occitane en Provence). Un gap di genere, quello nella vela oceanica e non, che oggi alcune iniziative provano a colmare con il networking e l’empowerment al femminile. Come il Magenta Project , che nella home page del suo sito scrive: «A bordo di imbarcazioni da regata, le donne affrontano sfide simili a quelle che affrontano ancora nelle sale riunioni, dalla discriminazione alla mancanza di supporto allo sviluppo».

Tra i tesserati solo un velista su tre è una donna

Questo è stato l’anno in cui Luna Rossa Prada Pirelli, timonata da Giulia Conti, ha vinto la prima edizione dell’Americans Cup al femminile. Ma anche quello in cui a vincere il premio World Sailor of the Year è stato Ruggero Tita ma non la sua compagna di squadra sui Narca17, Caterina Banti. La vela quindi è inclusiva o no? Partiamo dai numeri: in Italia solo un terzo (34,7%) dei velisti tesserati alla Federazione italiana vela, che ci ha fornito i dati, sono donne. Un divario di genere che esiste anche a livello “amatoriale”: le donne tesserate alla Lega navale italiana sono il 24,4%, un numero in (lenta) crescita (erano il 22,2% nel 2020). A scuola di vela, però, le ragazze ci vanno: se consideriamo una delle principali in Italia, il Centro velico Caprera, nel 2024 il 40% degli allievi erano ragazze o donne. Con una maggior presenza nei corsi deriva (58% allievi e 42% allieve) rispetto ai cabinati (64% allievi e 36% allieve).

Una rotta in salita

Non sono quindi l’interesse o le capacità che mancano ma – come accade nel mondo del lavoro – il percorso di crescita delle veliste è più complesso, sia a livello amatoriale che professionistico. Qualche esempio: le donne sono meno di un quinto tra i tecnici (18%) e gli Ufficiali di Regata (18,6%) FIV, così come tra gli istruttori del CVC (15%). Perché? È un tema di autostima, di pratica ed esperienza, di legittimo disinteresse o altro? Le veliste amatoriali sanno bene quanto sia frequente Nella mia esperienza di velista amatoriale, per lungo tempo sono stata la sola donna in ogni equipaggio durante i diversi corsi di vela, sia in Italia che all’estero. Ed è proprio questo uno dei problemi principali: se ti senti sola a bordo – e ti mancano role model – è più difficile affrontare il mare di stereotipi che ancora esistono in questo sport, e tracciare la tua rotta.

Le competenze ci sono, gli stereotipi anche

La ricerca “Women in Sailing” del World Sailing Trust – che ha raccolto oltre 4500 interviste in 75 Paesi, tra i quali l’Italia – rivela che il 59% delle veliste ha vissuto situazioni di discriminazione di genere, una situazione molto più diffusa (85%) nei Paesi dove la vela è più praticata e che peggiora con l’età (le ha subite il 43% delle ragazze nella fascia 11-18; il 59% delle donne nella fascia 19-25 e il 71% delle donne tra i 26 e i 30 anni). A sfatare l’idea che questo dipenda ad un’oggettiva disparità fisica, un altro dato: la maggioranza di donne che lavorano “a terra” con la vela (65%) e le ufficiali di regata (73%) si sono confrontate con questo fenomeno. Poco compreso però e sottovalutato dai colleghi: solo il 56% dei velisti uomini lo ritiene un tema importante.

Si vince solo insieme: il progetto Women in Sailing

Come superare questo stallo e avere più donne protagoniste nella vela? Negli ultimi anni si sono sviluppate diverse iniziative a livello internazionale, che puntano su networking ed empowerment al femminile. Il più strutturato in Italia è il progetto Women in Sailing di Generali, che ha come obiettivo di promuovere equipaggi misti in tutte competizioni veliche e di aumentare il numero di donne in barca con ruoli decisionali. Oltre all’annuale Trofeo Generali Women in Sailing durante la storica regata della Barcolana a Trieste, Generali ha anche realizzato un sondaggio con SWG e il patrocinio della FIV e di World Sailing: dalle interviste a giovani velisti e veliste e ai loro allenatori emerge che la maggiore difficoltà di far parte di una squadra mista sono proprio gli stereotipi e i pregiudizi di genere (per il 30% degli atleti/e e il 25% degli allenatori). Da qui la nuova fase del progetto: un toolkit che verrà realizzato nei prossimi mesi da psicologi dello sport, coach e veliste – vincitrici delle passate edizioni del Trofeo Generali Women in Sailing – destinato ad allenatori e tecnici, per supportarli nell’allenamento di team giovanili misti.

Regate più inclusive

Alcune regate hanno un’attenzione particolare all’equilibrio di genere come il Nastro Rosa Tour – che ha ideato anche la Female Offshore Mediterranean Championship, regata offshore dedicata solo alle donne, con monotipi Figaro3 – o ancora la Ocean Race che punta ad avere entro il 2030 equipaggi “50-50”. Perché, ammonisce la ricerca di World Sailing Trust, se le donne a bordo sono una minoranza – per la stessa logica delle quote di genere nei consigli di amministrazione (almeno il 30%) – non si sentiranno legittimate a esprimere al meglio il proprio potenziale. Per questo altre iniziative come Equal Sailing – ideato da Giulia Conti e Francesca Clapcich, atlete olimpiche e campionesse del mondo – offrono a donne veliste occasioni di allenamento, mentoring e networking, supportandole nella carriera e rendendo la vela più inclusiva per tutti.

Team al femminile per esercitare l’autostima

In attesa che questo sport diventi più inclusivo, dalle scuole di vela ai regolamenti di regata, sono le stesse veliste a organizzarsi per creare equipaggi tutti al femminile, dove poter rinforzare esperienza e autostima. Un esempio internazionale è il The Famous Project che parteciperà al prossimo Jules Verne Trophy, ma anche in Italia iniziative come quella di Ponentino Vela dimostrano che le donne vogliono prendere il timone, e non solo “fare presenza”.  E per questo role model come Claudia Rossi e Cecilia Zorzi – le uniche due veliste italiane, insieme a Francesca Clapcich, ad aver partecipato ad una Ocean Race – che parlano apertamente di vela e stereotipi sono un faro da seguire. Per sognare di non essere più sole, e di poterlo fare se si vuole.

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