Congedo per i nonni: in Svezia si possono trasferire fino a 45 giorni

Grazie alla legge appena entrata in vigore, la Svezia porta l’asticella del supporto alla cura infantile ancora più in alto. Dal primo luglio infatti nel Paese che già offre uno dei modelli più generosi di welfare al mondo, i neo-genitori possono trasferire fino a 45 giorni di congedo a loro spettanti ai nonni che si occupano dei loro figli, fino al compimento dell’anno di età.

Con questa norma, la nazione scandinava aggiunge un’altro primato alla sua già ricca storia di record in tema di attenzione sociale (e sussidi) ai suoi cittadini, iniziata 50 anni fa con l’introduzione nel 1974, la prima al mondo, dei congedi di paternità. Nel dettaglio, nel Paese dove i cittadini «sono accuditi dalla culla alla tomba», alla nascita di un figlio spettano 480 giorni, cioè circa 16 mesi, di permesso retribuito. Per 390 di questi i compensi coprono lo stipendio pieno, per i restanti 90 si ricevono circa 17 euro al giorno.

Oltre ai contributi puramente economici, inoltre, i genitori-lavoratori svedesi possono usufruire di altri benefit, tra cui, per esempio, la riduzione di orario fino al 18esimo compleanno del/la figlio/a.

Non solo Svezia

Questa iniziativa che, offrendo un compenso per il lavoro di cura svolto, legittima l’impegno dei nonni potrebbe beneficiare specificamente anche l’occupazione e carriere delle donne, permettendo loro, per esempio, un rientro più rapido sul posto di lavoro. Seppure è l’unica su scala nazionale, non si tratta di una proposta totalmente isolata. E non sono nemmeno del tutto nuove le discussioni su come il riconoscimento del lavoro di accudimento dei nipoti possa essere una risposta “a più mali”. Di fatto, soluzioni simili renderebbero ufficiali prassi consolidate e darebbero ulteriormente atto di un supporto comunque già svolto. Senza contare che, secondo alcuni, contribuirebbero a contrastare l’inverno demografico sperimentato da molti Paesi.

Oltre alle riflessioni teoriche, un esempio pratico arriva dal Portogallo. Per quanto di entità molto inferiore rispetto all’esperienza svedese ma introdotto espressamente con l’obiettivo di rilanciare la bassa natalità, la città di Cascais, alle porte di Lisbona, offre un mese di congedo retribuito ai dipendenti comunai che diventano nonni. L’idea è che da una parte si possa offrire migliore qualità di vita al personale più anziano e dall’altra incoraggiare i più giovani ad avere (altri) figli, grazie alla consapevolezza di poter contare su un supporto a portata di mano. Per dare un’idea della necessità della nazione iberica di invertire la rotta in tema di nascite, basti pensare che secondo le proiezioni nel 2040 la popolazione portoghese sarà composta per la metà da ultra 50enni e uno su tre abitanti avrò più di 65 anni.

Seppure in modo diverso e nonostante i principi differenti che lo guidano, un altro modello che in certo maniera guarda ai nonni è previsto in Australia. Sull’isola esiste il riconoscimento della cura dei bambini da parte di persone che non siano i genitori. Custodi legali, genitori affidatari, ma anche nonni o parenti possono fare richiesta di “non-parent care support”. Rispetto agli altri due, però, questo caso non mira ancora a riconoscere un congedo alternativo, ma garantisce piuttosto un contributo per casi in cui si svolga una cura simil-genitoriale.

Nonni: welfare familiare

Secondo uno studio effettuato nel Regno Unito, il 57% dei genitori di figli sotto i 13 anni fa affidamento sull’aiuto pratico di almeno uno dei nonni. Percentuale che sale al 72% nel caso di famiglie che vivono a meno di 30 minuti di distanza tra loro. Inoltre, il 36% di quanti sostengono di ricevere aiuto nell’accudimento dei bambini da parte propri genitori, sostiene di non poterne fare a meno. Davanti a dati simili e considerando il modello svedese, viene da domandarsi se non sia davvero urgente l’ufficializzazione estesa di un qualche riconoscimento di questa pratica, per molti evoluzione naturale e scontata dell’organizzazione personale e familiare alla nascita di un figlio. E chiedersi, inoltre, se questo possa davvero rappresentare uno strumento di contrasto al declino demografico.

Guardiamo alla situazione in Italia, dove chiaramente le generazioni più anziane svolgono un chiaro ruolo di welfare familiare tra l’altro in continua crescita. L’impresa sociale Con i Bambini, fondo che lavora per il contrasto della povertà educativa minorile, afferma che «i dati difficilmente riescono a cogliere» il contributo sommerso dei nonni, per quanto «in molti casi essenziale per consentire ai genitori di lavorare, all’aiuto materiale, anche economico nelle situazioni di maggiori difficoltà». Un supporto silenzioso insomma che, con l’aumento sia dell’età pensionabile che dell’età in cui si diventa genitori impatterebbe direttamente la natalità.

A fine maggio il Servizio Politiche Sociali e Welfare, Sanità, Mezzogiorno e Immigrazione Uil scriveva: «senza il supporto dei nonni le famiglie italiane non ce la farebbero. […] Siamo al paradosso che la disponibilità di cura dei nonni in molti casi non rappresenta più una soluzione di emergenza di fronte al fallimento delle politiche pubbliche, ma la “conditio sine qua non” per avere figli.»

Quando vanno in pensione

Poche strutture e spesso inadatte o troppo costose unite a una cultura che ancora vede la donna come prima (se non unica) responsabile della cura sono tra le cause principali dei bassi numeri di nati, in costante calo da anni. Chi figli ne vuole, oggi sembra valutare quando averli anche in base anche alla disponibilità dei propri genitori di accudirli. Una tendenza “dell’attesa” che un’indagine Bakitalia dello scorso anno* indicava come specifica del Sud Europa. «La probabilità che gli individui adulti decidano di avere un figlio aumenta in modo significativo subito dopo il pensionamento di uno dei loro genitori solo nei Paesi mediterranei, dove le politiche familiari sono meno favorevoli e i legami più forti, plausibilmente per la maggiore disponibilità di assistenza informale all’interno della famiglia.» Diversamente da quello segnalato da Bankitalia, le nazioni del nord Europa che sono modelli per le politiche e i servizi offerti, registrano un’incidenza quasi nulla tra età della pensione e tasso di natalità.

Inoltre, se mancano gli asili pubblici, a chi viene naturale rivolgersi, non potendosi pagare rette troppo costose per strutture private o baby-sitter? Secondo i dati Istat, infatti, solo 33,4% dei bambini frequenta il nido, contro il 74,2% nei Paesi Bassi e il 69,1% in Danimarca (Eurostat).

Certo i congedi per i nonni sul modello svedese non possono e non sono la soluzione per tutte le situazioni. Soprattutto se non sono accompagnati da una vasta serie di altre misure – in certi casi ancora impensabili in Italia. Nel nostro Paese oltre alla mancanza di un’offerta di cura dell’infanzia diffusa, adeguata e accessibile ai più, non sembra sempre efficace lo sforzo da parte di aziende e legislatori nel cambiare la cultura prevalente che spesso separa i ruoli in base al genere di appartenenza.

I nonni allora arrivano a tamponare una situazione di carenza di welfare. E, come scriveva  Valore D, «[…] garantiscono soprattutto alle donne di continuare a lavorare in una società che ancora fatica ad uscire del modello “male breadwinner”».

* Lo studio pubblicato nel luglio 2023, è intitolato “Pensionamento dei genitori e scelte di fecondità nei diversi regimi di politiche familiari”.

***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.