House of Cards: Jane Davis è il nuovo idolo delle donne

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Avviso ai naviganti: NON leggete questo post se non avete ancora finito di vedere la quinta stagione di House of Cards. L’etica e la fratellanza che provo per tutti i fan della serie ambientata alla Casa Bianca mi impongono di consumare queste prime dieci righe in preamboli vaghi, in modo che a nessuno di voi cada l’occhio anche solo per sbaglio su una parola o un’allusione di troppo. Non importa se così facendo non riuscirò a centrare il mio target mensile di click: preferisco non rovinare lo spettacolo a nessuno. Anche la foto che ho scelto in apertura non dovrebbe dirvi troppo: chi ha già visto la quinta serie probabilmente ha già capito di cosa parlo, tutti gli altri vedranno solo una bionda qualsiasi, per di più vista di spalle.

Secondo i miei calcoli ci siamo, il numero di righe che vi separano dal cliccare su “continua” dovrebbe essere stato raggiunto. E allora vi dirò che abbiamo sbagliato a riporre in Claire Underwood le nostre speranze di riscatto femminile. Perché non è lei il simbolo della parità tra uomini e donne. Nella quinta stagione di House of Cards il soffitto di cristallo viene infranto sì, e con un boato. Ma non per mano di Claire Underwood. Il vero riscatto delle donne porta il nome di Jane Davis.

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La “signora Davis”, come tutti la chiamano nel corso delle puntate, fa il suo ingresso tra le stanze della Casa Bianca in punta di piedi. Si presenta agli Underwood come vice-sottosegretario al Commercio internazionale, un ruolo modesto, lontano anni luce dalla poltrona in prima fila di un Segretario di Stato o di un portavoce alla Camera. Sarà che sono anni che mi occupo di commercio estero al giornale, ma Jane Davis cattura subito la mia curiosità intellettuale. E di puntata in puntata la osservo: lei ha contatti con i colossi della siderurgia cinese, con i petrolieri mediorientali e con i terroristi dell’Ico (versione romanzata della ben più concreta Isis); ha accesso alle stanze del presidente russo e a quelle del presidente americano.

Cerca la gloria? Tutt’altro, la rifugge: quando il nuovo presidente le offre di diventare il suo Segretario di Stato, cioè il suo ministro degli Esteri, lei rifiuta il ruolo dicendo che preferisce continuare a fare quello che sta facendo. Già, ma cosa sta facendo esattamente? È semplice: cura gli interessi dei grandi gruppi privati. Li cura in patria e li cura nel resto del mondo. Come? Con ogni mezzo.

La potenza dirompente del personaggio di Jane Davis è tutta qui. La “signora” ha in mano le leve del potere, quello vero. Che va oltre il potere politico. Va al di sopra del governo. E in un ruolo del genere, diciamocelo, una donna non c’era mai arrivata. La folgorazione mi è arrivata forte e chiara quando Frank Underwood spiega alla moglie che fino a quel giorno loro due avevano vissuto in una bolla, pensando che il punto più alto del potere fosse rappresentato dalla Stanza Ovale: il vero potere, dice Frank, non è qui dentro, è al di fuori di qui. È tutto intorno alla Casa Bianca, e la comanda.

Claire Underwood alla fine diventa quello che noi donne abbiamo sempre sperato che diventasse: il primo presidente donna degli Stati Uniti d’America. Lo fa con la stessa violenza, con lo stesso esercizio perverso del potere di suo marito. Con la stessa mancanza di scrupoli concessa a un uomo, insomma. E anche questo, è pur sempre un tassello verso la parità. Eppure, nel momento stesso in cui diventa presidente, è chiaro a tutti che il vero potere non è nelle sue mani. È in quelle di Jane Davis.