Ehilà, ciao, sono Fabiano! Come va da quelle parti?
Mamma mia, che casino che state facendo sulla mia morte, da un lato mi fa piacere che qualcuno apra gli occhi, che altri si interroghino, persino che i soliti si incazzino.
Tanto, tra un po’ vi scorderete anche di me… Come di Piergiorgio Welby, come di Eluana Englaro…
Ecco, prima che mi cacciate dalla vostra memoria (è molto più comodo, so di essere un compagno di viaggio scomodo), c’è una cosa che vorrei chiedervi. Perché, invece di parlare di come sono morto, non parlate un po’ della mia vita? Vi ho lasciato persino un testamento, dio mio come suona solenne, in cui dicevo che a sette anni avevo iniziato a suonare la chitarra, poi il conservatorio vissuto come un obbligo, il mondo del lavoro, la moto, fino a quando grazie a Ibiza avevo scoperto la consolle e lavoro e passione erano diventate la stessa cosa, e poi parlavo dell’India, di come avevo trovato lì il mio equilibrio… lì e in Valeria, nel suo sorriso, nella sua forza…
Eppure parlate solo della mia morte.
Pensate a me come a un ragazzo che la vita l’amava follemente, invece. Ci ho riversato dentro tutta la mia energia, ho vissuto in una perenne sfida con me stesso, in una ricerca affannosa, a volte goffa, incerta… Ho raggiunto traguardi, fatto errori, conosciuto successi e delusioni. Ho vissuto, insomma.
Per questo, quando la mia vita non è più stata vita, non ho potuto fare altro che lasciarla.
E’ vita quella di chi è cieco e paralizzato? Di chi impazzisce quando gli prude la testa? Di chi non ha altre sensazioni se non la sofferenza? Ve lo dico io: no, non lo è. Se io penso a quando sono morto, mica mi viene in mente quando ho schiacciato il comando con i denti e il veleno, ma io direi la medicina, è entrata nel mio sangue, per mia scelta, perché l’ho voluto.
No, se penso alla fine della mia vita, mi viene in mente il secondo prima dell’incidente, quando ancora sorridevo e cantavo a squarciagola, e le speranze erano possibilità, e i giorni una collana di momenti da costruire prima e conservare poi.
Fino allo schianto.
Dopo, be’, davvero, del dopo non vale la pena parlare. Non compatitemi per questo ultimo periodo. Gioite con me per la fortuna che ho avuto, prima, ad avere un’esistenza così piena e bella.
E continuate a parlare di me, di come ho scelto di dire basta, in piena coscienza e libertà, pensando a quando ero solo un ragazzo come tanti, pieno di vita e di sorrisi, e non un relitto abbandonato in un letto.
Solo così potrete capire.