Dorothea Lange: in mostra la fotografia come umanità

Raccoglitore migrante di cotone. Eloy, Arizona. 1940 The New York Public Library | Library of Congress Prints and Photographs Division Washington

C’è tempo solo fino al prossimo 19 ottobre per visitare la mostra di Dorothea Lange (1895-1965), la grande fotografa americana del secolo scorso, è al Museo Diocesano di Milano con una ricca monografica di più di cento immagini.

Sono foto che ci fanno immergere anima e corpo negli Stati Uniti degli anni ‘30 e ’40 del XX secolo. Si potrebbe pensare dunque che l’interesse di questa rassegna sia di carattere storico — il che è senz’altro vero —, ma, percorrendo la grande sala che ospita le stampe, si viene presi (almeno questo a me è successo) da una vertigine di attualità che fa maledettamente male.

Chi sono queste famiglie di sfollati, uomini donne anziani bambini, sporchi, stanchi, affamati, ammassati all’inverosimile su camion mezzo sfondati e rabberciati, tra masserizie, pentole, coperte e lampade a petrolio? Come non pensare a quanto succede sulle rive del Mediterraneo in queste settimane?

La grande depressione

Man mano che osserviamo queste foto dirette, sincere, emozionanti, riconosciamo anche nella miseria un’articolazione interna, i cui gradini ospitano ultimi, ultimissimi e infimi. E infatti ci sono le famiglie che non hanno altro mezzo di spostamento che le gambe, costrette a piedi, lungo strade sterminate, perse nel deserto nulla dello sconfinato continente americano: agricoltori e mezzadri degli stati centrali (Oklahoma, Missouri, Kansas e Arkansas), e piccoli proprietari, talvolta agiati, in ogni caso capaci di sostentarsi lavorando il proprio pezzo di terra e allevandovi animali, tutti puntano a est, alla ricerca delle terre fertili e il clima mite della California.

Dopo diversi anni di scarsi raccolti, debiti, spietata concorrenza delle grandi aziende agricole, forti di imponenti capitali e dell’inarrestabile meccanizzazione del lavoro, si ritrovano indebitati fino al collo e costretti a vendere casa e terra, la propria casa e terra, conquistata dai nonni, lavorata e fatta prosperare dai genitori, nella quale sono nati e hanno fatto nascere i figli. Nel giro di pochi anni il devastante crollo di Wall Street (1929) e la conseguente, spaventosa crisi dell’economia americana nota come Grande Depressione (1929-39), cui si aggiungono fenomeni naturali come la Dust Bowl, la grande siccità con tempeste di sabbia che imperversa dal 1931, innescano un devastante effetto domino che mette in ginocchio centinaia di migliaia di famiglie di agricoltori dell’America profonda, dando il la a un’imponente migrazione di massa.

Famiglia cammina sull’autostrada, cinque bambini. Partiti da Isabel, Oklahoma. Direzione Krebs, Oklahoma. Nel 1936 il padre coltivava per conto di altri a Eagleton, McCurtain County, Oklahoma. Pittsburg County, Oklahoma, 1938 The New York Public Library | Library of Congress Prints and Photographs Division Washington

La Farm Security Administration (FSA)

Un disastro cui cerca di reagire il New Deal, l’imponente programma di risanamento economico voluto dal presidente Roosevelt (1882-1945, in carica 1933-45) fra il 1933 e il ’37, nell’ambito del quale viene creata la FSA, la Farm Security Administration, l’agenzia, diretta da Roy Emerson Stryker, creata per sensibilizzare il popolo americano sulla situazione delle campagne.

Le foto della Lange in mostra provengono per la gran parte dagli archivi della FSA, perché Dorothea è stata protagonista di primo piano, accanto a fotografi come il grande Walker Evans, Russell Lee e Arthur Rothstein, di quel vastissimo progetto di fotografia documentaria e sociale: un governo che, anziché minimizzare e voltare la testa dall’altra parte di fronte alla crisi, decide — oltre a interventi di carattere economico e sociale — di guardare a fondo il Paese e chiede ai cittadini di fare altrettanto, convinto che la consapevolezza sia volano di crescita, è tanta roba. Di che ispirare governi e istituzioni dei nostri giorni…

Ma Dorothea Lange, nata nel New Jersey, buoni studi, formatasi alla prestigiosa Columbia University, sposata con il noto pittore Maynard Dixon di lei ben più anziano, due figli, titolare di un avviato studio fotografico a San Francisco fondato nel 1919, come è diventata un’impegnata fotografa sociale per la FSA?

La Migrant Mother

La risposta è nel suo temperamento appassionato, tenace e anticonformista, seguendo il quale a metà anni ’30 imprime un taglio radicale a carriera e vita, decidendo di non restare indifferente, chiusa nel proprio studio: la Lange scende nelle strade, macchina fotografica in pugno, e incomincia a scattare, prima a San Francisco, poi, fra il 1931 e il 1933, viaggiando in Utah, Nevada e Arizona.

File di disoccupati all’ufficio di collocamento, persone che dormono per strada, vagano inebetite rasente i muri, affollano le iniziative benefiche dell’esercito della salvezza, in un coinvolgente e umanissimo racconto visuale dell’America prostrata dalla Grande Depressione, anticipatore di Furore (The Grapes of Wrath), il romanzo capolavoro di John Steinbeck, pubblicato nel 1939, che valse il Nobel al suo autore.

I rimandi tra le pagine di Steinbeck e le foto di Dorothea sono continui, comune è la capacità di questi due grandi narratori con mezzi diversi di cogliere le storie delle persone, raccontare i volti e i silenzi, lasciare trapelare quel che non può essere detto se non imperfettamente.

Madre migrante. Raccoglitori poveri di piselli in California. Madre di sette figli. Età: trentadue. Nipomo, California. 1936 The New York Public Library | Library of Congress Prints and Photographs Division Washington

Come nella Migrant mother della Lange, tra le poche immagini per cui l’ormai logoro “icona” ha davvero senso: una delle foto più famose di sempre, che tutti hanno visto almeno una volta, ignorandone probabilmente l’autrice. In mostra vi è la breve sequenza completa (5 scatti) dedicata alla giovane madre trentaduenne di sette figli: il volto segnato, che dimostra un’età ben superiore a quella anagrafica, i cui occhi non incrociano mai il nostro sguardo, colpisce profondamente per compostezza, dignità, accettazione del proprio destino. Un’immagine emblematica della fotografia documentaristica della Lange, contraddistinta da sguardo lucido, figure mai isolate, sempre comprese (nel senso etimologico di prese dentro) nel contesto sociale e vitale, profondo rispetto umano, grazie al quale i soggetti inquadrati non sono mai ridotti a pretesto per dimostrare delle tesi od ottenere facili effetti emotivi.

Il legame con Paul Taylor

L’avventura della FSA coincide per Dorothea con il legame con Paul Taylor (1895-1984), economista, poi direttore di un’altra agenzia creata da Roosevelt (la Rural Rehabilitation Division della California), che nelle sue ricerche usava la fotografia come mezzo di studio e documentazione. Dorothea e Paul iniziano a lavorare assieme sul campo nell’aprile 1935, a dicembre (ottenuti i rispettivi divorzi) si sposano: resteranno assieme fino alla morte di lei. 

Dal ’36 la coppia viaggia per quasi tutti gli States, continuando l’opera di documentazione per la FSA. Il loro interesse si concentra ora maggiormente sul tema della segregazione razziale nel Sud, dove le leve del potere restano in mani bianche e i neri continuano a essere trattati come manodopera sostanzialmente servile. In questo periodo iniziano i problemi di salute di Dorothea, che la porteranno negli anni a lunghe pause dal lavoro e ricoveri ospedalieri, che non le impediranno mai di continuare a lavorare con passione. Lange aveva fin da bambina una leggera zoppìa, data dalla poliomelite, a proposito della quale scrisse: “È stata la cosa più importante che mi sia capitata, mi ha formato, guidato, istruito, aiutato e umiliato.

Teatro a Leland. Mississippi. 1937 The New York Public Library | Library of Congress Prints and Photographs Division Washington

Come non vedere in queste parole la radice della sua sensibilità verso le persone che soffrono, di quello sguardo inconfondibile che fonda la compassione per gli altri su quella per sé stessa?

La guerra e la grande mostra postuma

La giovane evacuata Kimiko Kitagaki sorveglia i bagagli della famiglia prima di partire in bus, tra mezz’ora, per il centro di raccolta di Tanforan. Suo padre ha lavorato nel settore del lavaggio e della tintoria fino al giorno dell’evacuazione. Oakland, California. 1942 The New York Public Library | Library of Congress Prints and Photographs Division Washington

Con la guerra, le risorse destinate alla FSA vengono drasticamente ridotte, Dorothea viene licenziata. La sua riconosciuta fama la porta a essere scelta per un altro incarico governativo: documentare le condizioni dei cittadini americani di discendenza giapponese che, dopo Pearl Harbour e la guerra contro il Giappone, vengono tolti dalle proprie case e deportati in campi di concentramento. La preoccupazione del governo è di dimostrare che l’operazione si svolge nel rispetto dei diritti umani, dal che derivano una serie di forti limitazioni al lavoro di Dorothea: le sue foto delle famiglie deportate nel campo di Manzanar (nelle montagne della Sierra Nevada) vengono sequestrate e censurate dalle autorità. I rullini resteranno nascosti nel buio degli archivi e saranno pubblicati solo trent’anni dopo, nel 1972, rivelando ancora una volta la qualità e la forza della fotografia di Dorothea Lange, le cui immagini hanno una bellezza sensibile, nella quale la preoccupazione della forma non prevale mai sull’accoglienza che l’inquadratura riserva alle persone raffigurate.

Ci sarebbe altro da dire su questa ricca mostra, ma vi invito a scoprirlo da soli visitandola; suggerisco di lasciarvi un po’ di tempo per vedere il documentario sulla vita di Dorothea: non è breve, le sedie sono pochine, ma merita una sosta. Vi si racconta anche la preparazione della grande mostra personale a lei dedicata al MoMa di New York nel 1966, prima donna fotografa ad avere questo onore. Malata, lavora a fianco al grande direttore del dipartimento di fotografia del Moma, John Szarkowski, raccontandogli il proprio lavoro e selezionando le fotografie da esporre nella rassegna che si aprirà l’anno successivo alla sua morte.

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