
Una chat online apparentemente innocua o uno scambio privato sui social possono «trasformarsi rapidamente in una trappola», quella della sextortion. Si tratta di una forma di ricatto sessuale online che rientra nella più ampia categoria della condivisione non consensuale di materiale intimo e in Italia è sempre più diffusa. Secondo la definizione che ne dà PermessoNegato, associazione in prima linea nel supporto alle vittime, avviene «quando qualcuno ti minaccia di diffondere foto o video personali – spesso ottenuti con l’inganno o durane una conversazione privata – se non soddisfi le sue richieste».
A differenza del Revenge Porn che riguarda la diffusione di immagini o video intimi con l’obiettivo di compromettere la reputazione delle vittime – in maggioranza (il 74% secondo il rapporto della Polizia Postale) donne – la sextortion è una forma di ricatto sessuale in cui, per evitare la condivisione dello stesso tipo di contenuti, alle persone coinvolte viene chiesto denaro. L’imbarazzo e la vergogna diventano così un’arma per ottenere un tornaconto economico.
In base alla mappatura nazionale di PermessoNegato, i casi sono stati 1.086 nel periodo compreso tra gennaio 2020 e dicembre 2024. Si va dai 41 registrati nel 2020 fino ai 392 del 2024, con l’eccezione del 2023 durante il quale è stato registrato un leggero calo. «Osserviamo un aumento costante» del numero degli eventi di questo tipo, «con una particolare incidenza negli ultimi anni», ha spiegato l’associazione ad Alley Oop. Diversamente da altri reati digitali a sfondo sessuale, dove le vittime sono in prevalenza donne, «nel caso della sextortion rileviamo una maggioranza significativa (90%) di vittime maschili», un dato in linea con quanto rilevato anche dalla Polizia postale. In prevalenza, sono «uomini adulti. ma anche adolescenti e giovanissimi». Non esiste un target particolare: «è proprio questa trasversalità – ha proseguito l’associazione – a rendere il fenomeno particolarmente subdolo e difficile da individuare».
Sentirsi bloccati
Le vittime di sextortion, secondo il report di PermessoNegato, hanno età molto diverse. Escludendo i minori, vanno dai 18 fino ai 75 anni, senza una prevalenza marcata in una fascia anagrafica rispetto a un’altra. Inoltre provengono da contesti sociali, culturali e geografici eterogenei, appartengono a differenti orientamenti sessuali, sono italiane e straniere, sposate, conviventi, single o in situazioni relazionali complesse. Alcune di loro hanno familiarità con l’uso dei social media e delle tecnologie digitali, altre molto meno.
C’è però un elemento che accomuna le persone che si sono rivolte all’associazione: molte, soprattutto tra gli uomini, faticano a chiedere aiuto, bloccati dal senso di vergogna e dalla paura del giudizio. «Questo accade anche a causa dei bias di genere interiorizzati, che associano la mascolinità all’autosufficienza, alla forza e al controllo emotivo – si legge nell’analisi di PermessoNegato – Tali aspettative culturali rendono più complesso, per molti uomini, riconoscersi come vittime e attivare tempestivamente percorsi di richiesta di supporto».
Intervenire subito
Agire tempestivamente quando si affrontano fenomeni di sextortion però è fondamentale, soprattutto perché «nella maggior parte dei casi le vittime, a seguito della condivisione» di foto o video intimi da parte degli estorsori, «si trovano in una posizione difficile da gestire che spesso implica un’assoluta perdita di controllo», spiega ad Alley Oop PermessoNegato. Infatti «statisticamente parlando, il materiale condiviso tende a diventare virale in un lasso di tempo molto breve». Un intervento rapido, «anche solo per chiedere informazioni o un primo supporto» (con consigli come non pagare le somme richieste, fare gli screenshot delle conversazioni al centro del ricatto e contattare la polizia) «permette di contenere l’ansia, la vergogna e l’isolamento che spesso accompagnano queste esperienze», spiega l’associazione.
Il sostegno sociale è infatti «uno degli strumenti più efficaci per affrontare le conseguenze psicologiche» della sextortion. «Parlarne con qualcuno di cui ci si fida, evitare l’isolamento, condividere la propria esperienza in un contesto sicuro e non giudicante» è cruciale in molti casi, secondo PermessoNegato. «La rete sociale, che può essere fatta di amici, familiari, figure di riferimento, ma anche di gruppi o associazioni, svolge un ruolo protettivo, riducendo il senso di solitudine e vergogna».
Come rispondere
Sul fronte psicologico, l’associazione «offre a tutte le vittime la possibilità di un colloquio psicologico gratuito» e, tramite la sua rete, mette in contatto le vittime con dei terapeuti specializzati. Inoltre mette a disposizione «due strumenti di Rimozione Preventiva». In particolare, queste «attraverso la tecnologia “fingerprint” consentono di creare una firma virtuale dei contenuti, e grazie a questa oscurare eventuali» foto, screenshot delle chat o video «già presenti sulle piattaforme ed impedirne a priori ogni futuro caricamento». Tra gli strumenti che possono anche essere utilizzati autonomamente dalle vittime c’è il sito https://stopncii.org/ per i maggiorenni, gestito da SWGfL, un’organizzazione benefica internazionale che ha l’obiettivo di promuovere l’utilizzo sicuro della tecnologia. Per i minorenni invece c’è https://takeitdown.ncmec.org/it, gestito dal National Center for Missing & Exploited Children.
Riconosciuta come trusted flagger da importanti realtà come Meta, TikTok, Google, Aylo (gruppo multinazionale proprietario di diversi siti per adulti come YouPorn, Pornhub e Redtube), PermessoNegato ha poi «la possibilità di segnalare i profili di chi effettua la diffusione non consensuale e di richiedere l’immediata rimozione del contenuto pubblicato per conto delle vittime». A livello legale, invece l’associazione «offre gratuitamente la possibilità di fare un colloquio telefonico della durata di circa 30 minuti con un legale» per chiarire cosa fare per tutelare i propri diritti e anche per un’eventuale denuncia.
Educazione digitale diffusa
A livello più ampio però, per contrastare il fenomeno della sextortion, secondo PermessoNegato, lo strumento più efficace è la prevenzione, «che dovrebbe essere adottata a macchia d’olio dalle Istituzioni». «Serve un’educazione digitale diffusa, consapevole, trasversale – spiega l’associazione – un’educazione che inizi dalle scuole, con un approccio multidisciplinare capace di parlare ai giovani di consenso, empatia, rispetto reciproco, e di offrire gli strumenti per difendersi, ma anche per non diventare – magari inconsapevolmente – carnefici». Per i volontari del gruppo, «l’impegno delle Istutizoni, da questo punto di vista, deve essere sinergico».
«Da un punto di vista legale, nel nostro ordinamento non esiste il reato di sextortion (a differenza del Revenge Porn) – prosegue PermessoNegato – La descrizione della condotta delittuosa è, infatti, prevalentemente di tipo dottrinale, anche in considerazione della ristretta casistica giurisprudenziale della Corte di Cassazione». Sarebbe però urgente per prevenire, in generale, i reati sessuali online «l’implementazione della cooperazione internazionale tra le Forze di Polizia e gli Internet Service Providers (ogni le piattaforma tramite la quale gli utenti interagiscono online)». A valle di tutto ciò, potrebbe essere essere utile, «da un punto di vista legislativo, iniziare una discussione per creare la basi di partenza per una più generale riforma dei reati sessuali (anche commessi online), tra i quali rientrerebbe la condotta di sextortion».
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