Siria: oltre mille civili uccisi, i miliziani nascondono le prove dei massacri

The body of a Syrian security force member killed in clashes with loyalists of ousted President Bashar Assad in coastal Syria, is carried for burial in the village of Al-Janoudiya, west of Idlib, Saturday, March 8, 2025. (AP Photo/Omar Albam)

Massacri di massa e saccheggi in Siria contro gli alawiti, perpetrati dai miliziani islamisti che hanno assunto il controllo del Paese dopo la cacciata di Bashar al Assad. Da giovedì 6 marzo, in diverse zone a prevalenza alawita, la stessa setta sciita a cui appartiene Assad, i residenti descrivono scene raccapriccianti, con strade insanguinate piene di cadaveri. Centinaia di famiglie sono in fuga e molti hanno paura anche solo di affacciarsi alla finestra. E’ salito a ben oltre mille il bilancio delle persone uccise in quattro giorni di scontri tra le forze di sicurezza dei nuovi governanti islamisti e i combattenti della setta alawita leali all’ex presidente Bashar al-Assad, tra cui 1.068 civili, la stragrande maggioranza alawiti. Le cifre delle vittime, non confermate da fonti indipendenti, sono state diffuse dall’Osservatorio siriano per i Diritti umani.
Le violenze hannno portato a evacuazioni di massa di alawiti e cristiani. Sono stati segnalati continui omicidi, saccheggi e incendi di case nei villaggi costieri. Il presidente ad interim siriano Ahmed Sharaa, in un discorso pubblico , ha invocato la pace: «Dobbiamo preservare l’unità nazionale e la pace interna, possiamo vivere insieme».
Intanto, però, arrivano testimonianze del tentativo di cancellare le tracce delle uccisioni di massa.

Strade disseminate di corpi ma i miliziani cercano di nascondere le prove dei massacri

Le forze armate della città di Jableh – secondo quanto hanno riferito domenica fonti locali – hanno iniziato un’operazione organizzata per esumare i corpi di centinaia di civili uccisi nei massacri della città e seppellirli in fosse comuni a un ritmo molto veloce. L’operazione, condotta in vista dell’arrivo dei media, mira a nascondere le prove dei crimini contro l’umanità che hanno avuto luogo in città, dato che «le strade erano piene di corpi fino a poche ore fa». Ciò avviene nel contesto di un’ondata di violenza settaria senza precedenti contro gli alawiti nella regione del Sahel, con massacri documentati a Baniyas, Sharifa e Mukhtariya nello stesso giorno.

Il Comitato di monitoraggio e documentazione ha registrato molteplici massacri che hanno causato la morte di oltre 1.700 persone in aree come Snobar Jableh (75 vittime), Al-Shir (70 vittime), Al-Sharifa (25 vittime), Baniyas (centinaia di vittime) e Al-Rusafa (decine di vittime). Questi incidenti, che hanno preso di mira donne, bambini, anziani e persone con bisogni speciali, sono indicativi di un modello sistematico di uccisioni e persecuzioni di massa. A Jablah, riferiscono le fonti, le strade erano disseminate di corpi fino a poco tempo fa, a testimonianza della brutalità dell’attacco alla città.

Uccisione di massa

I testimoni hanno riferito dell’uso di camion e attrezzature pesanti per trasportare i corpi, che sono stati sepolti senza un’adeguata identificazione o cerimonie di sepoltura. L’obiettivo: presentare alle telecamere una città “normale”, nel tentativo di negare la responsabilità delle uccisioni di massa. Il processo di trasporto dei corpi e il loro seppellimento in fosse comuni senza documentazione è una flagrante violazione del diritto internazionale.

Secondo la Quarta Convenzione di Ginevra (1949), lo smaltimento dei corpi delle vittime senza documentazione o rispetto per la loro dignità è proibito, e l’attacco originale ai civili costituisce un crimine di guerra (articolo 8 dello Statuto di Roma). Si tratta, scrivono i testimoni, di crimini contro l’umanità: l’omicidio di massa, seguito dall’occultamento delle prove, rientra nella definizione di omicidio e sparizione forzata come parte di un attacco diffuso e sistematico (articolo 7 dello Statuto di Roma); genocidio o potenziale genocidio: se si stabilisce che questi atti mirano alla distruzione parziale o totale della comunità alawita, possono essere classificati come genocidio ai sensi della Convenzione del 1948. L’occultamento dei corpi non diminuisce la responsabilità legale, ma aggiunge l’accusa di intralcio alla giustizia, rafforzando la necessità di un’indagine internazionale urgente.

I residenti di Jableh hanno confermato che le strade sono state coperte di corpi fino a mezzogiorno e che il trasferimento dei corpi è iniziato improvvisamente all’avvicinarsi del tramonto. I filmati circolati prima della bonifica mostrano corpi nei quartieri residenziali, mentre quelli successivi mostrano strade vuote e camion che trasportano cumuli coperti. I membri del Comitato di monitoraggio hanno riferito di rapidi movimenti di attrezzature pesanti alla periferia della città, con segnalazioni di fosse comuni scavate in luoghi non rivelati.

Seppellire le vittime senza documenti impedisce alle loro famiglie di conoscere il loro destino o di organizzare cerimonie di sepoltura adeguate, aggravando la loro sofferenza psicologica. I sopravvissuti che hanno assistito alle uccisioni e alle esumazioni vivono nel terrore, con segnalazioni di famiglie in fuga a causa delle continue minacce. L’occultamento delle prove ostacola qualsiasi indagine futura, lasciando i responsabili senza responsabilità.

Richieste di aiuto all’Onu, alle organizzazioni umanitarie e ai media internazionali

La richiesta che arriva dai luoghi dei massacri è, per le Nazioni Unite e la comunità internazionale, di inviare immediatamente squadre investigative a Jableh per fermare le sepolture di massa e preservare le prove fisiche delle vittime; di imporre urgentemente sanzioni economiche e politiche al governo provvisorio e a tutte le fazioni coinvolte per fare pressione affinché cessino le violazioni e nascondano le prove e di dispiegare forze di monitoraggio internazionali o stabilire zone sicure nell’area costiera per proteggere i civili dagli attacchi in corso.

Alle organizzazioni umanitarie e per i diritti umani si chiede di documentare le testimonianze e le foto di Jableh prima e dopo la bonifica per garantire una documentazione indipendente dei crimini e di fornire immediato supporto psicologico e materiale ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime che devono affrontare la perdita dei loro cari senza lasciare traccia.

Infine, ai media internazionali si chiede di recarsi immediatamente a Jableh per coprire l’operazione prima della sua conclusione e denunciare al mondo i tentativi di insabbiamento dei crimini e di fare pressione sul governo provvisorio affinché consenta l’accesso illimitato alle aree colpite.

Alla ricerca dei responsabili dei massacri

Gli scontri sono iniziati giovedì 6 marzo, dopo una imboscata su vasta scala a Jableh, a opera delle milizie alawite contro le forze siriane, che riuniscono i gruppi guidati da Hayat Tahir al-Sham. Il governo siriano del presidente facente funzione Ahmad al-Sharaa sostiene che le esecuzioni sommarie siano state azioni individuali e non coordinate con le forze di sicurezza, laddove tuttavia non è ancora definito il confine con milizie non ancora inquadrate, che sono arrivate nella provincia di Latakia da tutto il Paese per partecipare all’operazione di repressione. Al-Sharaa, parlando da una moschea, ha spiegato che gli ultimi sviluppi sono inciampi «attesi» e ha lanciato un appello per l’unità nazionale.

Un residente della cittadina di Snobar ha denunciato che uomini armati hanno ucciso almeno 14 dei suoi vicini, tutti della stessa famiglia, incluso un uomo di 75 anni e i suoi tre figli, di fronte alla moglie. «Dopo hanno chiesto alla donna di consegnare l’oro che indossava per non essere uccisa anche lei». La regione è senza elettricità e acqua. I cadaveri sono impilati nelle strade, ha testimoniato un altro.

Onu: «Stop immediato alle violenze in Siria»

Le Nazioni Unite hanno chiesto lo stop immediato delle violenze in Siria, dove negli scontri tra le forze di sicurezza e lealisti del vecchio regime sono morte già almeno mille persone. «Ci sono segnalazioni di esecuzioni sommarie su base settaria da parte di autori non identificati, da parte di membri delle forze di sicurezza delle autorità ad interim nonché da parte di elementi associati al precedente governo», ha dichiarato l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, in una nota. «Stiamo ricevendo segnalazioni estremamente allarmanti di intere famiglie, tra cui donne e bambini, uccise», ha aggiunto Turk, che ha quindi chiesto che l’uccisione di civili nelle aree costiere della Siria nordoccidentale cessi immediatamente.

Al-Sharaa: uccisione degli alawiti minaccia unità del paese

Il presidente della nuova amministrazione siriana, Ahmed Sharaa (Al-Jolani), ha riconosciuto che le violenze commesse la scorsa settimana ai danni della minoranza alawita rappresentano una minaccia al suo compito di unire il Paese, assicurando che saranno chiamati a risponderne i responsabili, compresi i suoi stessi alleati, se necessario. In un’intervista concessa alla Reuters, Sharaa ha sostenuto che gli scontri sono stati innescati da milizie fedeli all’ex presidente Bashar al-Assad, appartenenti alla Quarta divisione del fratello Maher, «per fomentare disordini e creare discordia tra comunità». Quindi ha riconosciuto che le violenze mettono a rischio il suo tentativo di unire la Siria.

Per questo motivo è stato istituito un comitato indipendente, il primo organismo che include gli alawiti, per indagare sulle uccisioni nell’arco di 30 giorni e per assicurare i responsabili alla giustizia. Un secondo comitato è stato istituito «per preservare la pace civile e la riconciliazione, perché il sangue genera altro sangue», ha aggiunto. Sharaa ha riferito di 200 membri delle forze di sicurezza rimasti uccisi nelle violenze, senza precisare il numero complessivo delle vittime in attesa dell’indagine. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sono 973 i civili alawiti «giustiziati e uccisi a sangue freddo», mentre i combattenti alawiti morti sono oltre 250 e più di 230 membri delle forze di sicurezza.,

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