Cosa ci fa sentire di appartenere davvero a un Paese?

Parlare la lingua di una nazione è la chiave per sentirsi di appartenere “davvero” a quel posto. Questo, almeno, secondo i risultati di una recentissima ricerca Pew Reseach Center.

Analizzando le risposte di oltre 65mila persone sparse su 36 nazioni tra il 2023 e il 2024, è questo la caratteristica indicata dalla maggior parte degli interpellati in proposito. Non il luogo di nascita. Non il livello in cui si condividono tradizioni e si seguono usi locali. E non la religione professata – ambito che, al contrario, risulta quello percepito come il meno importante tra gli altri.

Al mondo una persona su 30 è emigrato

Non manca giorno che il tema dell’immigrazione torni a occupare pagine di giornali e che sia terreno fertile per la polarizzazione delle visioni. Ma lasciando ad altri luoghi le discussioni in materia di quote di accesso, apertura o rifiuto delle richieste, resta il fatto che secondo il World Migration Report 2024 delle Nazioni Unite, la maggior parte di noi vive nella nazione dove è nata. Con (solo) una persona su trenta a essere “emigrato”.

Il rapporto ONU, oltre a guardare alla situazione corrente, segue anche l’evoluzione negli anni e indica una crescita avvenuta negli anni del numero totale di quanti si sono trasferiti fuori dai confini della loro nazione di nascita. Secondo le stime, nel 2020 erano circa 281 milioni i migranti internazionali, quelli quindi che vivono in un Paese diverso da dove sono nati. Il 3,6% della popolazione globale. Una cifra questa che è andata aumentando negli ultimi decenni: secondo i dati, si tratterebbe di 128 milioni di persone in più rispetto al 1990 e oltre tre volte le stime per il 1970.

Numeri alla mano, le Nazioni Unite unite tracciano anche un profilo tipo di chi emigra. Con un divario di genere anch’esso cresciuto nell’ultimo ventennio, sono oggi soprattutto uomini quelli che lasciano la propria patria di origine. Le percentuali nel 2000 erano di 50,6% uomini conto il 49,4% donne, cioè rispettivamente 88 e 86 milioni. Vent’anni dopo, si è arrivati rispettivamente a 146milioni contro 135 milioni.

Identità nazionale e idioma locale

Che abbiamo lasciato il nostro Paese oppure no, cosa ci fa sentire di appartenere al luogo dove viviamo?

Seppure con differenze tra aree del mondo e specificità nazionali, per la maggior parte, il parlare la lingua predominante nel Paese di riferimento è la caratteristica indicata come principale che consolida il senso di appartenenza a una nazione. All’estremo opposto, l’elemento meno importante quasi ovunque risulta la religione professata o in cui ci si riconosce. Nel mezzo, vista come in qualche modo importante, l’abbracciare le tradizioni e seguire usanze locali.

Proviamo a guardare meglio la situazione tratteggiata dallo studio de centro di ricerca americano, Pew.

Con alcune differenze, le percentuali di quelli che ritengono “importante” o “molto importante” poter comunicare nella lingua del posto sono alte ovunque. I livelli più alti si registrano in Bangladesh dove nell’84% dei casi gli intervistati hanno risposto di ritenere la conoscenza della lingua predominante come “molto importante” nel definire di appartenere a un Paese. Mentre l’11% la ritiene una caratteristica “importante”. In fondo alla lista in questo senso, Singapore. Qui solo un quarto degli adulti afferma che è molto importante parlare mandarino* per essere “veri singaporiani”. Nello specifico, il 34% e il 23% di quelli che ritengono la conoscenza della lingua locale importante o molto importante.

Se la quantità di chi conferma questa caratteristica come principale nel consolidare il senso di appartenenza è tendenzialmente simile ovunque, differenze esistono invece guardando al dettaglio anagrafico e all’istruzione dei rispondenti.

Gli anziani sono generalmente più propensi dei giovani a considerare la conoscenza della lingua come elemento primario. Lo fanno per esempio il 72% gli over 40 olandesi, contro il 45% degli adulti fino a 39 anni. La percezione cambia, poi, anche in base all’istruzione. Chi ha un livello più basso, ha maggiore probabilità di considerare il comunicare nell’idioma locale caratteristica molto importante per l’appartenenza nazionale.

Tra usanze, tradizioni e luoghi di nascita

Nelle risposte raccolte, se le differenze di età e titolo di studio determinano alcuni pattern più comuni, i ricercatori riscontrano l’emergere di differenze in una serie di altre sfere. Le varie situazioni economiche delle zone del mondo, le caratteristiche presenti in aree omogenee e dentro le stesse nazioni, o il tipo di visione più o meno conservatrici / progressiste degli abitanti.

Per esempio, la tendenza a considerare molto importante il rispetto di tradizioni e usanze locali per sentirsi di “appartenere davvero” a una nazione, appare più comune tra i Paesi a medio reddito. Meno in quelli ad alto reddito. Si va dalla percentuale massima registrata in Indonesia, dove il 79% degli adulti sostiene questa posizione. Ai minimi della Svezia, dove questa affermazione è condivisa solo dal 17% delle persone.

A prescindere dal luogo geografico, condividono l’idea che siano le usanze a definire il sentimento di identità nazionale, quanti sono più avanti con gli anni rispetto ai giovani – in Italia per esempio, gli over 40 hanno un probabilità doppia rispetto ai ragazzi di sostenere che siano usi locali a rendere “veramente italiani” (50% contro 24%).

Una caratteristica che mostra risultati contrastanti nei Paesi presi in considerazione nell’indagine, riguarda invece la relazione tra identità nazionale e luogo di nascita. Soprattutto le nazioni ad alto reddito, che tendenzialmente ospitano percentuali consistenti di immigrati anche magari da decenni, meno della metà degli adulti ritiene importante ai fini del sentimento di appartenenza a un luogo, l’essere nati entro i confini nazionali: in Svezia lo sostiene il 4% degli adulti, l’8% in Australia e sotto il 15% in Canada, Francia, Germania e Paesi Bassi.

Si trovano invece all’estremo opposto, le nazioni a medio reddito. In Bangladesh e in India, per esempio, otto adulti su dieci affermano che è molto importante essere nati nel rispettivo Paese per essere veri bengalesi o indiani. Succede nei tre quarti dei casi in Indonesia, Kenya, Perù, nelle Filippine e in Sri Lanka.

* L’isola stato, oltre al mandarino ha altre tre lingue ufficiali: l’inglese, il malese e il tamil.

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  • Gino Galimberti |

    Tra conoscenza della lingua, accettazione delle Leggi e condivisione di certe tradizioni, mi piacerebbe vedere quanti stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana l’hanno davvero meritata…

  • Valeria Consoli |

    Quando, per la prima volta in Germania nel ’74, ho fatto per qualche tempo pratica di Tedesco, che avevo studiato a scuola quindi all’Università, pensavo che dell’Italia mi sarebbero mancati il clima ed il cibo…la cosa invece, che mi è più mancata , è stato il fatto di non poter parlare in Italiano!!!

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