Il 17 dicembre scorso è morto Gian Paolo Barbieri, uno dei grandi protagonisti della fotografia italiana, probabilmente il più celebre a livello internazionale.
La sua notorietà è legata principalmente alla fotografia di moda – campo nel quale difficilmente il suo contributo può essere sopravvalutato -, ma le etichette, utili a inquadrarne in prima battuta il lavoro, sono riduttive: Barbieri è stato un maestro, la sua opera ha rivoluzionato il modo di fotografare, facendolo diventare un punto di riferimento per generazioni di fotografi, che hanno guardato alle sue immagini come modelli inarrivabili per eleganza e intuizioni creative.
La vita
Nato a Milano nel 1935 da un padre commerciante in tessuti all’ingrosso, la prima passione è il teatro, ambito nel quale esordirà come costumista e poi attore nella Roma della Dolce Vita, presto abbandonata per Parigi (1960), dove si trasferisce in qualità di assistente del fotografo di “Harper’s Bazaar”, l’ungherese Tom Kublin. Terminata precocemente questa esperienza per la morte di Kublin, Barbieri rientra a Milano e apre (1962) il suo primo studio: inizia scattando semplici campionari e man mano avvia la collaborazione con la rivista “Novità” che diventerà poi “Vogue Italia”. Qui Barbieri rivela il suo talento innovativo: porta le modelle fuori dallo studio, affrontando la sfida della luce del sole, costruisce scenografie raffinate tra cui ambienta vere e proprie storie, facendo diventare l’abito protagonista a tutto tondo, descritto nelle finiture, i toni di colore e i dettagli tattili delle stoffe, percepite con una speciale sensibilità, nata sui set immaginari dei giochi infantili, tra gli scampoli di tessuti sottratti ai magazzini del padre. Il sodalizio con “Vogue” si consolida, il giovane fotografo si afferma, nascono le prime collaborazioni con gli stilisti: Walter Albini, Valentino, Armani, più tardi l’amatissimo Gianfranco Ferrè, Dolce & Gabbana, Versace.
L’affermazione internazionale
Schivo, fedele a un understatement genuinamente meneghino, Barbieri non era uomo da affermazioni roboanti, ma era consapevole del ruolo di primo piano che ebbe, negli anni ’70 e ’80, nell’affermazione della moda italiana a livello internazionale: “Walter Albini, Valentino e io abbiamo contribuito alla creazione del prêt-à-porter italiano e con Armani e gli altri abbiamo fatto sì che la moda italiana avesse una risonanza anche al di fuori dei suoi confini” riconosce in un’intervista recente in occasione della mostra Oltre tenuta al Forte di Bard (ottobre 2023 – marzo 2024).
In concomitanza con il travolgente successo della moda italiana, Gian Paolo Barbieri si afferma da protagonista sul palcoscenico internazionale, lavora per alcune delle riviste più celebri, da “Vogue America” a “Vogue Paris”, da “Vanity Fair” a “GQ”, e firma campagne per prestigiosi brand come Yves Saint Laurent e Vivienne Westwood.
Un capitolo a parte è rappresentato dalla collaborazione con attrici e modelle celeberrime, dall’indimenticabile Audrey Hepburn, il cui volto spunta come un petalo luminoso dall’armatura grafica quasi astratta dell’abito nero di Valentino che la avvolge in uno scatto indimenticabile, a Monica Bellucci, forse mai così irresistibilmente sensuale e sfrontatamente decisa come nell’obiettivo di Barbieri per Dolce & Gabbana. E ancora Jerry Hall, Veruschka, Naomi Campbell ed Eva Herzigová; sono solo alcune delle protagoniste delle sue immagini, alle quali non calza il termine abusato di muse: bellissime e affascinanti sono state un’ispirazione costante per un uomo innamorato della bellezza in tutte le sue forme, ma le donne nelle sue fotografie hanno quasi sempre un carattere volitivo, sicuro, talvolta ardito, che dimostra la sensibilità dell’artista nel cogliere il progressivo affermarsi nella società di una nuova immagine della donna, adeguata ai nostri giorni.
L’arte, un’ispirazione costante
Ho usato il termine artista: Barbieri era infatti colto e curioso, oltre al teatro, aveva grande amore per l’arte in tutte le sue manifestazioni, in particolare la pittura, esercitata in prima persona, e il cinema, con una predilezione per i noir, Orson Welles e Federico Fellini. Questa costellazione di interessi ci fa comprendere la densità degli spunti che alimentavano la sua creatività e apre uno scorcio sul retrobottega di un artista per il quale la parola scatto riferita alle sue immagini è assolutamente impropria, perché non lascia trapelare la lunga riflessione e ideazione che prepara il risultato finale. È importante ricordare inoltre che siamo nell’epoca della fotografia analogica, i set dovevano essere costruiti fisicamente e Barbieri era solito dipingere in prima persona gli scenari, curarne meticolosamente tutti i dettagli, orchestrare le fonti di luce (l’anima della fotografia), per creare sovente effetti stranianti. Le sue foto possono trascorrere infatti da un realismo allucinato a un onirismo visionario da grande illusionista, come dimostra la geniale rivisitazione (tanto imitata…) del grande quadro della Zattera della Medusa di Géricault per la Westwood nel 1997. Gli effetti speciali sono antichi come la fotografia, Photoshop non ha inventato nulla…
Le costanti della sua fotografia sono sempre state: osare, innovare, trasgredire; dando corpo e immagine a un linguaggio anticonvenzionale, inconfondibile, sempre in movimento.
Oltre l’Europa. L’avventura dell’esotismo
Un continuo movimento, nello stile, ma anche nella vita: dagli anni ’90 non si accontenta più di essere solo un grandissimo fotografo di moda, inizia l’epoca dei grandi viaggi extra-europei. In un periodo nel quale non esistevano i voli low cost e il turismo internazionale di massa dei nostri giorni, questi viaggi implicavano una dose di avventura e di desiderio di confrontarsi con l’altro: Barbieri segue le orme dell’amato Gauguin, visita isole lontane e scopre culture diverse, esotiche nel vero senso della parola, che gli dischiudono nuovi panorami e inedite prospettive di carattere antropologico, contribuendo a liberare il suo sguardo nell’osservazione dei corpi, lasciandosi alle spalle le convenzioni e gli stereotipi della civiltà occidentale.
Per concedermi un ricordo personale, ho avuto la fortuna di lavorare con la Fondazione Barbieri alla pubblicazione di una nuova edizione aggiornata dello storico volume sul tatuaggio tahitiano Tahiti Tattoos per 24ORE Cultura (https://www.24orecultura.com/libri-24-ore-cultura/tahiti-tattoos/), pubblicato la prima volta nel 1989, poi in formato più piccolo nel ’98: lavorare sui materiali d’archivio, sfogliare i negativi delle polaroids originali e selezionare tra quel tesoro alcuni scatti inediti è stata un’esperienza intensa, che mi ha fatto toccare con mano quanta cura, dedizione e amore della bellezza si cela nella penombra di ogni sua immagine. “Penso che sia più difficile fare una fotografia che girare un film, perché in un solo scatto devi raccontare tutta la storia.” diceva giustamente
Il talento di Barbieri è stato celebrato in più occasioni: nel 1968 la rivista “Stern” lo inserisce tra i quattordici migliori fotografi di moda al mondo, nel 2018 gli viene conferito il Lucie Award nell’ambito del Fashion, mentre nel 2022 viene presentato il docu-film sulla sua vita, con la regia di Emiliano Scatarzi, Gian Paolo Barbieri, l’uomo e la bellezza, premiato con l’Audience Award del pubblico al Biografilm Festival di Bologna e con due premi al festival Master of Art in Bulgaria.
La Fondazione Gian Paolo Barbieri
Per finire, è fondamentale ricordare la lungimirante istituzione, nel 2016, della Fondazione Gian Paolo Barbieri (https://fondazionegianpaolobarbieri.it/it/), che ringrazio per la concessione delle foto che accompagnano questo pezzo. La Fondazione ha il compito “di promozione della figura artistica del Fondatore, delle sue opere fotografiche e di tutti i beni”, tra cui l’inestimabile patrimonio del suo archivio, che custodisce un vero tesoro per certi aspetti ancora inesplorato. L’avventura di Gian Paolo Barbieri continua.
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