Le donne dell’anno, la normale eccezionalità che sorregge la nostra società

Si chiude un altro anno e il 31 dicembre è tempo di bilanci, classifiche, album di foto dei ricordi. Come ogni anno Alley Oop ha deciso di dedicare spazio alle dieci donne che per la loro eccezionalità possono rappresentare con le loro storie questo 2024. Nello sfogliare le notizie di quest’anno ci siamo chiesti chi potesse meglio rappresentare coloro che quotidianamente fanno la loro parte per rendere migliore questa nostra società. A venirci in mente non sono state persone conosciute, ai vertici delle aziende, delle associazioni o delle istituzioni; nemmeno attrici, astronaute, campionesse sportive o artiste; e tanto meno donne che per la prima volta sono arrivate a ricoprire incarichi da sempre maschili alla guida di università, enti e governi.

Cercando i nomi di persone eccezionali ci sono venuti in mente i volti, le voci, i sorrisi e i dolori di donne che abbiamo incontrato in modo fortuito in un negozio, in un ospedale, a scuola. Ci sono venute in mente vicine di casa, amiche, conoscenti. Donne che ci hanno colpito per scelte e determinazione, quotidianità e passione, coraggio e compassione, forza e fragilità.

Abbiamo deciso di dedicare a loro la nostra lista delle donne dell’anno, perché crediamo che nella loro “normalità” stia l’eccezionalità di chi tiene in piedi la società italiana. Crediamo che per fare la differenza non sia necessario il riconoscimento di un premio, di una promozione professionale o di un’elezione a maggioranza. Allora attraverso una decina di nomi di tutta Italia e di tutte le età vogliamo celebrare quante ogni mattina affrontano la giornata con responsabilità, onestà, passione e fatica. Non scevre di difetti, perché ne abbiamo tutte, ma umane proprio per quelli. Una caratteristica che le rende più vicine a ciascuna di noi, tanto da potersi specchiare nella loro storia e riconoscersi per darsi così una pacca sulla spalla e dirsi, ognuna per sé ma a nome di tutte: «Sto facendo del mio meglio, sto facendo la mia parte».

Giulia Ester Garzia

Giulia Ester Garzia, classe 1988, è cresciuta a Cinisello Balsamo e si è laureata in psicologia all’Università Cattolica di Milano. Dopo essersi occupata di abuso e maltrattamento all’infanzia e aver fatto esperienza in vari servizi territoriali, decide di unirsi come volontaria alla squadra di psicologia delle emergenze (SPE), parte della protezione civile della Lombardia. Da qui nasce il richiamo per una psicologia più attiva e sul campo, confermato da alcune esperienze di volontariato in India e Malawi. Dopo aver frequentato il Master ISPI in cooperazione internazionale, Giulia lascia l’Italia e parte per missioni umanitarie in Paraguay, Giordania, Etiopia, Iraq, Israele e Palestina. Nel frattempo, oltre all’inglese, impara lo spagnolo e il francese e si interessa all’arabo, «poiché – afferma – per poter capire le persone la lingua è fondamentale».

Oggi, Giulia lavora come psicologa per il Comitato Internazionale della Croce Rossa a Kharkiv, in Ucraina, gestendo progetti di supporto psicologico per le famiglie dei dispersi in guerra, dei prigionieri, per gli amputati a causa delle mine e per coloro che, da quasi 3 anni, lavorano incessantemente per assistere la popolazione sulla linea del fronte (servizi di ambulanza e dottori).

Claudia De Zuliani

Claudia De Zuliani ha 57 anni, vive a Roma con il marito Alessandro Sgarbossa e ha due figli grandi. Lo scorso anno una compagna di classe di suo figlio, con cui è  rimasta in contatto chiede loro aiuto: a 27 anni è intrappolata in una relazione con un compagno violento, da cui ha avuto due bimbi, la prima di quasi 4 anni e il secondo di circa nove mesi. Lui non contribuisce alle spese familiari, dissipa ogni guadagno in alcol, è aggressivo. Sotto sfratto, lei si vede persa. Claudia e suo marito si rivolgono subito a un amico avvocato, che generosamente si offre di assistere gratis la ragazza, e al parroco della loro comunità. Sentendosi supportata, lei trova il coraggio di denunciare e andarsene. L’amico avvocato le riesce a trovare un piccolo alloggio dove può trasferirsi con i bambini, il parroco provvede generosamente a sostenerla anche economicamente nelle spese per l’affitto.

Da un anno Claudia e suo marito svolgono con amore il ruolo di “nonni adottivi”, supportati sempre dall’avvocato e anche dalla sua compagna, sostenendo la giovane mamma nelle scelte, nel rapporto con i figli, nei rapporti con le persone. Per le pratiche burocratiche per ottenere il reddito di inclusione e l’assegno familiare è stato come sempre fondamentale l’intervento dell’avvocato. Non è un percorso indolore. Il marito di Claudia riceve minacce, in tanti domandano: «Chi ve lo fa fare?». Ma Claudia risponde sorridendo con la forza della fede: «Siamo cristiani, il Signore non ci abbandonerà».

Hirut Cherkos

Hirut Cherkos, classe 1973, etiope è una donna che ha dovuto affrontare battaglie e sacrifici i quali hanno lasciato in lei segni indelebili. Fin da piccola è cresciuta in un contesto opprimente, dovuto ai conflitti tra Eritrea ed Etiopia. Poco dopo aver raggiunto la maggiore età, Hirut, a causa delle condizioni che la circondavano, fu costretta ad abbandonare per sempre la propria abitazione, nella quale non sarebbe più tornata. Il luogo che la ospitò per una decina di anni fu l’Egitto, dove la vita divenne solo sopravvivenza in un mare di incertezze.

Giunta in Italia 22 anni fa, ebbe un impatto molto amaro: non conosceva la lingua, non aveva alcun appoggio familiare e nessun sussidio. In quelle circostanze dovette affrontare una gravidanza non andata secondo i piani, di cui non poté godere. Fu privata di tutto, ma Hirut continuò a coltivare innumerevoli obiettivi. Non si arrese e, nonostante tutte queste difficoltà, riuscì finalmente a costruire una vita, che definisce “ordinaria”. Oggi ha un lavoro a tempo indeterminato con cui ha cresciuto due figlie che ha educato e mantenuto da sola, con ben pochi aiuti. Il tempo e la sua tenacia le hanno permesso di riprendere nelle proprie mani la sua vita e sono arrivate anche le prime soddisfazioni personali, le sue prime vacanze e i suoi primi svaghi. In Italia vive ormai integrata completamente nella società e apprezzata da chi la circonda, ma le cicatrici rimangono.

Raffaella Gennaretti

Quello di Raffaella Gennaretti è un nome molto conosciuto tra le mamme della zona Gorla di Milano, e non solo: grazie al passaparola, capita spesso che neomamme anche di altre zone di Milano o persino dalla provincia vengano a chiedere un appuntamento per parlare con lei, solitamente per chiedere aiuto per uscire da uno di quegli impasse in cui si incappa nei primi mesi di maternità. Quello che trovano una volta varcata la soglia di questo consultorio è una squadra che si impegna nell’accoglienza e conforto delle famiglie e soprattutto delle madri.

Speciale è il ruolo di Raffaella Gennaretti nei confronti delle neomamme: ostetrica dal 1987, dopo dieci anni trascorsi in sala parto approda a Milano e da venticinque anni è operativa al consultorio di Gorla, dove ha visto scorrere sotto ai suoi occhi i cambiamenti della società: madri diverse, età diverse, aspettative diverse, padri più presenti e disposti a una genitorialità condivisa. Eppure i problemi del puerperio restano gli stessi, dall’allattamento alla nanna, dalle coliche allo svezzamento, tra i mille input che spesso servono solo a confondere le neomamme già sballottate da un’esperienza folgorante e totalizzante come la maternità, Raffaella Gennaretti è stata per molte come un faro: non perchè dice cosa fare, ma perchè accompagna le donne ad avere fiducia in sè e a trovare il proprio modo di essere madri, superando il brusìo che le circonda e le (spesso traumatiche) esperienze del parto.

Certo non lo fa da sola: a Gorla ci sono 3 ostetriche, un’assistente sanitaria, un team di psicologhe e un’assistente sociale. La magia avviene, secondo Raffaella, «perchè l’equipe si prende molto cura degli operatori che poi si prendono cura delle famiglie». A un anno dalla pensione, e con importanti problemi di salute a cui ha fatto fronte negli ultimi anni, Raffaella ha sempre dato molto e per moltissime donne ha fatto la differenza. Come dice lei stessa: «Io non faccio l’ostetrica, io sono un’ostetrica».

Martina Galassi

Martina Galassi, nata nel 2006 ad Arezzo dove vivo insieme alla mia famiglia. Frequenta il quinto anno al Liceo Scientifico F. Redi, in un indirizzo sperimentale dove è applicato alla didattica il metodo Rondine. Ha un interesse spiccato per le questioni sociali e si è fatta promotrice di un progetto di sensibilizzazione sui temi delle disuguaglianze di genere all’interno della sua scuola. Anche grazie al sostegno di insegnanti e compagni di classe sta studiando la cultura del patriarcato per sviluppare per sé e per i compagni una “coscienza di genere”. Ritiene che l’istruzione giochi un ruolo cruciale per intervenire sul livello culturale e strutturale sul fenomeno e vuole dare il proprio contributo per costruire una società i cui valori siano realmente il rispetto e il consenso.

Fa inoltre parte della squadra di dibattito della scuola grazie alla quale ha migliorato le sue tecniche espositive e dove ha avuto modo di cimentarsi nell’analisi di temi politici e sociali quali il gender gap economico, l’impatto dell’intelligenza artificiale in termini di consumo energetico e mozioni di policy per attuare dei cambiamenti nel sistema scolastico, sanitario ed economico del Paese.

Danila Pecis

Danila Pecis, classe 1954, è stata insegnate di scuola materna prima e poi ha lavorato all’ufficio eventi culturali di un comune in provincia di Milano. Dal 2002 è caregiver del figlio Alberto (allora quindicenne), che a seguito di un incidente in motorino è stato in coma e ha subito negli anni 14 operazioni chirurgiche. Lo assiste quotidianamente cercando stimoli nuovi e interessi che possano rendere la vita della famiglia piacevole e serena.

Come caregiver ha dovuto sviluppare competenze infermieristiche per le cure sanitarie, anche per la diagnosi di cancro e la conseguente chemioterapia del figlio solo lo scorso anno; competenze amministrative per poter seguire tutte le pratiche burocratiche; competenze relazionali per poter avere a che fare nei diversi ambiti con esperti, uffici competenti e istituzioni. In pensione da circa dieci anni si dedica a tempo pieno ad Alberto e alle amicizie a cui non fa mancare il supporto e l’aiuto quando ne hanno bisogno.

Giusi Scalia

Giusi Scalia è nata il 27 febbraio del 1966, a San Gregorio di Catania. Assistente sociale con una seconda laurea in filosofia, è oggi a capo dell’ufficio autonomo speciale di uno dei 9 distretti socio-sanitari della provincia di Catania, ruolo in forza del quale coordina i servizi sociali di tredici comuni pedemontani. È una progettista d’eccezione che riesce a intercettare risorse e a metterle al servizio del sociale, con grande competenza e devozione.

Negli anni ha finito per inventarsi la maniera di offrire importantissimi servizi e sostegni a famiglie in difficoltà, anziani, minori, disabili. Lavora incessantemente e con passione, per ridurre la grave marginalità e il disagio sociale. Ha reso il distretto che coordina un faro, in un contesto difficile come quello della Sicilia che è fanalino di coda nelle politiche sociali e nella spesa dei fondi destinati al sollievo dalla povertà.

È tra le fondatrici del centro antiviolenza Galatea di Catania, associazione di volontariato votata alla tutela delle donne che hanno subito maltrattamenti e abusi. È un’eccellenza siciliana e di lei potremmo dire che è la creatività e la perseveranza profuse nel sociale.

Silvia Faggin

Silvia Faggin, nata e cresciuta a Padova in una famiglia di donne: due sorelle e la mamma, sostenute dalle braccia accudenti di uno di quei padri gentiluomo che vorremmo per i nostri figli. Lei di figli ne ha cinque, tra i 22 e i 12 anni; da quasi 7 madre “single”, come ha imparato faticosamente a ridefinirsi. Vive nelle silenziose campagne della Valtidone, arrivata
qui per lavoro prima, radicata per amore dopo; ora rimane, per amore della sua cinquina.

Insegna da un ventennio nella scuola primaria, dopo altre esperienze professionali che ruotavano sempre intorno all’educazione e alla formazione: con l’unione italiana ciechi per l’assistenza scolastica ai bambini ciechi e ipovedenti prima, un percorso professionale come esperta di orientamento professionale e infine è approdata alla scuola primaria, lavoro che
sognava fin da quando la frequentava con grembiule e cartella.

Corre e cammina almeno 30 km a settimana, avendo trovato nel mettere un piedi avanti all’altro la metafora
perfetta del suo voler stare in equilibrio e fare passi avanti, tra figli adolescenti e piccoli allievi pieni di inesauribili energie. Per lei essere madre richiede anche la ricerca di spazi, di conoscenza e di pace, per suscitare desiderio di spazio, conoscenza e pace. Nei weekend e nelle vacanze libera da impegni sportivi o scolastici dei figli, al suono del suo “usciamo, il mondo è fuori”, parte con più figli che si può per “fare cose belle”: una mostra, un rifugio, un campeggio.

Renza Volpini

Renza Volpini, 72 anni, ha perso 17 anni fa sua figlia Jessica, uccisa dal marito. Era il 13 febbraio 2007: Jessica aveva 32 anni, suo figlio 4. Renza ha accolto suo nipote e si è presa cura di lui. In quegli anni non esisteva la legge a favore degli orfani di femminicidio (la legge 4 del 2018), non c’era l’attenzione che c’è adesso nei confronti delle donne vittime di violenza. Renza si sentiva sola, ma ha saputo trasformare quella fragilità in forza, non solo per sé ma anche per tutte le donne vittime di violenza. E con quella forza ha iniziato a raccontare la propria storia per far crescere una consapevolezza sociale sul tema degli orfani di femminicidio e per aiutare le donne in difficoltà.

«Le sento tutte figlie mie – ci ha raccontato Renza – mia figlia ha cercato di separarsi tre volte, l’ultima lui l’ha uccisa. La minacciava da sempre. Purtroppo per paura di perdere i figli, tante donne vittime di violenza restano con l’uomo che le maltratta, rischiando la vita. Lo dico per esperienza». Ed è proprio grazie a donne come Renza se sono stati fatti tanti passi in avanti nel contrasto alla violenza sulle donne e sui loro figli. Oggi Renza continua a portare avanti la propria battaglia, aiuta le donne ed è al fianco degli orfani di femminicidio e delle loro famiglie.

Wanda Adalina Belliard

Wanda Adalina Belliard, nata nel 1984  in un paesino di campagna nella Repubblica Domenicana, si trasferì con i genitori nella periferia di Santiago de los Caballeros. Un’area della città segnata dai tanti problemi di droga, prostituzione e sparatorie. Nell’adolescenza, mentre frequentava il liceo presso un collegio di suore, Wanda ha iniziato a lavorare nell’ambito del contesto della chiesa locale con i giovanissimi e si è occupata soprattutto delle ragazze impegnandosi per motivarle a studiare e a lasciare la strada.

A 20 anni è diventata mamma da single. Allora divenne difficile poter lavorare con un figlio neonato e decise di avviare un’attività commerciale propria, dando vita a un internet point e occupandosi di supportare gli studenti delle scuole serali nel fare i compiti. Così crebbe il figlio da sola, fino a quando 11 anni fa incontrò l’attuale marito italiano, con cui si è trasferita in Italia e ha avuto un’altra figlia. Oggi vive in un piccolo paese del centro Italia, lavora in un negozio di parrucchiera, ma non dimentica il proprio impegno sociale, tanto che si è presentata alle elezioni locali con una lista civica perché «ci sono tante cose che vorrei cambiare, nel mio piccolo vorrei fare tanto per il Paese in cui vivo».

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Se hai una donna “normale” da segnalare per la sua eccezionalità scrivici all’indirizzo alleyoop@ilsole24ore.com e raccontaci la sua storia.