«Diversità è uno stato di fatto, inclusione è una scelta. L’unica scelta che posso vedere»
Va diritto al punto Igor Šuran, direttore esecutivo di Parks liberi e uguali, noprofit italiana che accompagna le aziende nella costruzione e sviluppo dei loro percorsi di inclusione Lgbtq+. Dedicando la sua attività agli orientamenti affettivi e le identità di genere, l’associazione* supporta la creazione di ambienti di lavoro in cui «tutte le persone potranno esprime al massimo il proprio potenziale e le proprie aspirazioni senza dover nascondere una o mille identità, inventarsene un altra, o vergognarsi».
Nell’ultimo decennio, si è affinato il modo in cui si parla D&I: sono cambiati i paradigmi e si è puntualizzato e ampliato il vocabolario; si sono definite meglio le sfumature e si è arricchita la sensibilità riguardo alle questioni Lgbtq+. Anche dentro i luoghi di lavoro. «Quando Parks veniva fondata, 13 anni fa questo tema non era legittimato dalle aziende – conferma Šuran -. Veniva ritenuto molto privato ed era stigmatizzato. Oggi, nell’ottica del principio di centralità delle persone e della crescente consapevolezza dell’importanza dell’intersezionalità, le imprese non si chiedono più perché parlare di questo tema. Si chiedono in che modo parlarne, se è la maniera efficace, efficiente e giusta».
È avvenuto un cambio radicale nella visione delle necessità del dipendente, molto lontano dall’atteggiamento del “che se ne interessi a casa sua”, prevalente fino a poco tempo fa. Dopotutto, ricorda il direttore di Parks, alla base «c’è un caso valoriale e di opportunità. Si dice che le persone che si nascondono negli armadi in quanto LGBTQI+ perdono il 30’% del loro potenziale professionale. Una perdita immensa» per le imprese stesse. «Noi lavoriamo per una cultura della voce, dell’ascolto e della trasparenza, in cui ci si senta liberi di parlare dei temi che hanno sempre fatto parte della vita ma a cui non veniva dato spazio o ascolto».
La cultura e l’organizzazione aziendale
È indubbio quanto sono cresciute sia l’attenzione che la sensibilità verso le tematiche Lgbtq+ dentro e fuori dalle imprese. Al contempo, inoltre, sono cresciuti gli interessi dei lavoratori, anche grazie a una migliore rappresentazione e rappresentanza. Questo, secondo Šuran, «ha portato un’evoluzione delle aspettative, soprattutto dei giovani che vivono questo tema in modo diverso rispetto alle generazioni precedenti. Le nostre aziende devono rispondere lavorando, da una parte, sulla cultura – (dato che) mancano consapevolezza e competenze – e, dall’altra, sugli aspetti organizzativi. Abbiamo creato una ricchezza di strumenti, serve la volontà di applicarli. La sfida è come ingaggiare le persone».
Per farlo, i passi sono mutuati dalla pratica giornalistica «Cercando di rispondere alle domande: di cosa stiamo parlando? Come? Qual è il valore per le persone, per l’azienda, per l’ecosistema e per il Paese? Quando intervenire? Certo – non nasconde il direttore esecutivo di Parks – ci sono sempre cose più urgenti e questo è un tema visto come nice to have. Qui la risposta è: oggi! Sarebbe stato meglio dieci anni fa, ma oggi va bene. Basta che ne parliamo domani, dopodomani, non solo a giugno, quando celebriamo il pride. Deve essere un tema continuativo, non (da trattare) alle 7 di sera dopo il lavoro. La cultura non si cambia con una firma di un direttore ma seguendo ogni fase della vita di una persona nell’azienda. Ancora prima di firmare il contratto e fino a quando decide di cambiare lavoro, ogni fase deve esser impregnata dall’inclusione. I luoghi di lavoro hanno l’opportunità e, quindi anche, la responsabilità di essere agenti del cambiamento sociale. Non si para solo a chi si identifica in una di questa sigle, ma a tutti, a noi altri 9 su 10. Anche questa è la cultura».
Le aree di intervento
Sul percorso di inclusione, ritiene Igor Šuran, le imprese sono sempre più attente a tre punti chiave che caratterizzano il presente in Italia: l’assenza di una legge contro la omolesbobitransfobia; i temi di protezione della genitorialità, non riconosciuta per le famiglie omogenitoriali; e, infine, le questioni di facilitazione del percorso di affermazione di genere.
«Le aziende possono contrastare l’omolesbobitransfobia attraverso i codici etici, carte dei valori, codici di comportamento, il monitoraggio e le azioni concrete. Se lo decidono, possono (poi) supportare la genitorialità, attraverso policies proprie o con la contrattazione integrativa per creare quelle protezioni necessarie che la legge offre a chi tra noi è genitore riconosciuto». Intervenendo in questo senso, le imprese affermano «una presa di posizione importante, di una società che evolve. Teniamo anche presente che si trovano di fronte a un tema economico – non potendo ricevere rimborsi statali».
Il terzo nodo, molto delicato, riguarda la “riassegnazione di sesso”, «come si chiamava nella legge italiana del 1982, tra le prime al mondo, che lo permetteva. Sono passati decenni senza che la legge si fosse mossa. Poi nel 2015 due sentenze importanti delle alte corti italiane la reinterpretano. Oggi una persona può vedersi riassegnare il genere senza aver fatto un operazione chirurgica. Ma prima di ottenere il certificato, sempre che voglia farlo, a volte passano anni. Questo significa che se la persona lavora può rimanere anni, per lo stato, vivendo con il genere dato alla nascita, che è però diverso da quello della vita veramente vissuta. Non si può essere di giorno una persona e di sera un’altra! Ecco che le aziende cercano e trovano il modo di facilitare questi percorsi», complessi e più estesi della sola preferenza del nome. Vanno a interessare infatti l’uso dei servizi igienici, degli spogliatoi, l’abbigliamento e devono comprendere la sensibilizzazione dei colleghi e dei quadri direttivi e una prospettiva giusta di continuità della carriera.
La spinta in avanti
Rispetto anche solo a qualche anno fa il livello di sofisticazione di linguaggio e comprensione dei temi è alto. Secondo Igor Šuran, la spinta più forte, non voluta ma necessaria, è da legare alla pandemia. «In un momento di incertezza incredibile, le aziende hanno capito l’importanza di dimostrare la vicinanza e il valore dell’inclusione come parte integrante del lavoro. Causa Covid si sono create situazioni divergenti: rinchiusi in casa, molti hanno sofferto le restrizioni perché trovavano sollievo potendo andare in ufficio. Altri invece hanno trovato pace proprio perché non dovevano esporsi» in ambienti tossici.
Davanti alla necessità di intervenire, molte più aziende si sono aperte, tante rivolgendosi a Parks per studiare azioni adatte alle loro specificità, o partecipando (anche senza diventare soci) alla compilazione dell’annuale Lgbtq+ Diversity Index dell’associazione, o esplorando le iniziative periodiche di Parks. «Ciascuna realtà parte da un punto diverso, ha necessità convergenti ma differenti. Per cui con ognuna vediamo il punto di partenza e gli obiettivi. Cerchiamo di fargli aprire gli occhi, grazie alle esperienze degli altri, capiamo quale strumenti utilizzare per muoverci lungo la curva di inclusione che è bellissima e infinita».
Da qui in avanti: gli 8 anni di Alley Oop
«Per me l’inclusione è un lavoro continuativo che ci porta verso nuovi traguardi. L’inclusione è infinita perché appena raggiungiamo un obiettivo, troviamo nuove sfide. Quello che vorremmo sempre di più oggi è portare questa cultura di inclusine nel mondo delle pmi, realtà che sono agenti di grande cambiamento nei loro territori. Per farlo, per esempio cerchiamo di agire sulla filiera dei fornitori delle aziende nostre associate e partner per ampliare questo respiro anche a chi oggi non lo tocca con mano». Dopotutto, «un’azienda non fa inclusione perché è buona, non esistono aziende buone ma aziende giuste che intervengono (anche) perché l’inclusione crea valore. Se l’ad di una azienda, pur non credendo nell’inclusione delle persone LGBTQI+, vede questo valore, come può chiudere questa opportunità in cassetto? C’è un caso valoriale dietro, magari non lo vediamo oggi, ma lo vedremo tra qualche anno».
Di temi Lgbtq+ Alley Oop parla da sempre. Quest’anno il blog compie 8 anni trascorsi a occuparsi e dare spazio a tutti i temi D&I. Igor Šuran ha un pensiero preciso del ruolo che può continuare a svolgere: «la consapevolezza si crea attraverso l’accesso all’informazione. Quando l’informazione include quegli aspetti di cui non si è parlato mai e nel modo che più fa riflettere il sentimento e la realtà, farlo con serietà e con un approccio strutturato e informativo, è un grande aiuto. Cambia la percezione e il discorso ottiene legittimità.
Quello di cui siamo grati è la volontà di parlare sempre di più anche dei questioni difficili dove magari non c’è un consenso a livello legislativo oppure dove ci sono divergenze di pensiero nella società. La volontà di raccontare progetti e aziende che fanno cose, mettendo la faccia in quello che fate. E facendolo nelle sezioni di maggiore interesse per le pmi, o presentandolo a diversi gruppi di ascolto. Quando ci aiutate a far capire il valore dell’inclusione Lgbtq+ quando scrivete, per esempio, delle imprese che hanno introdotto norme per la protezione della genitorialità, il mondo legge e ne vede il valore».
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* Sono 120 le aziende socie di Parks – Liberi e Uguali impegnate nel costruire al loro interno una cultura di inclusione LGBTQAI+. Per la maggior parte si tratta di grandi brand italiani, o sedi italiane di multinazionali che, in totale, potenzialmente, raggiunge oltre un milione e mezzo di dipendenti.
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