Luca Pancalli: “Lavoriamo per il diritto alla piena cittadinanza delle persone con disabilità”

Ci sono storie sportive che sembrano scritte da un bravo sceneggiatore. E invece non sono altro che la realtà. Storie nate già in salita e altre dove il protagonista si ritrova a dover ricominciare tutto daccapo. Andando ben oltre la propria zona di comfort e dando un nuovo significato al “gettare il cuore oltre l’ostacolo”. Vite dove all’improvviso gli obiettivi desiderati e quelli prefissati vanno in frantumi, e rimettere le cose al proprio posto non è più possibile. I pezzi di quel puzzle vanno ricollocati e i capitoli di quelle storie vanno riscritti. Consapevoli che non avranno un finale scontato, perchè esso dipenderà solamente da quanto “peso” avrà il cuore del protagonista e quello delle persone intorno a lui. E da quanto, entrambi i personaggi, saranno disposti a trasformare la rabbia del no nel coraggio e la forza dell’oltre. Questo non vuol dire che non si potranno provare sentimenti negativi e/o autodistruttivi. Al contrario, provarli è la testimonianza che quel cuore esiste, batte e combatte. Perché rabbia, impotenza e pensieri bui saranno dietro l’angolo. Ma quanto più quei cuori “peseranno”, tanto più diventeranno capaci di realizzare cose all’apparenza impossibili.

Luca Pancalli, attuale presidente del Comitato Italiano Paralimpico, è stato ed è un protagonista di una di quelle storie. Da stella nascente del pentathlon moderno e campione Olimpico di nuoto a uomo simbolo del movimento paralimpico Italiano, che con la sua mentalità sta contribuendo in maniera importante sia all’evoluzione della cultura sportiva paralimpica del nostro Paese sia al cambiamento di percezione culturale e sociale della disabilità da parte dell’opinione pubblica. Inserito dal Coni tra le 100 leggende dello sport, Luca Pancalli si prepara ad affrontare l’anno olimpico con la consapevolezza e la serenità di chi sa guardare oltre lo specchio e insegnare col suo esempio che si può essere parte, insieme, di una grande rivoluzione umana e culturale.

La vita di un atleta paralimpico è fatta da un prima e un dopo. Caduta e rinascita. Buio e luce. Cosa c’è nel mezzo?
Prima di rispondere è necessario fare una premessa. Il mondo paralimpico non è composto solo da coloro a cui, come nel mio caso, un evento traumatico ha cambiato il corso della vita. Vi sono persone che si trovano a fare i conti con un una disabilità sin dalla nascita oppure che vivono la condizione di disabilità a seguito di un andamento progressivo di una patologia. Ad ogni modo, però, credo che l’approccio alla vita sia simile per tutti gli atleti paralimpici: acquisire giorno dopo giorno consapevolezza delle proprie abilità e trasformare i limiti in punti di forza. Naturalmente, come per tutti gli atleti e le atlete, nel mezzo c’è tanto lavoro e determinazione per il raggiungimento di quegli obiettivi che ognuno si è prefissato.

Da promessa del pentathlon a nuotatore con il maggior numero di vittorie nelle Paralimpiadi dell’epoca moderna: qual è l’insegnamento più importante che ha ricevuto dallo sport?
Mi ha insegnato innanzitutto a raggiungere i risultati attraverso il lavoro, i sacrifici e la determinazione. E mi ha fatto capire quanto sia importante avere un metodo, darsi un obiettivo e cercare la strada migliore per raggiungerlo. L’obiettivo ti consente di orientare il tuo tempo e le tue relazioni. E in molti casi riesce a dare un senso alla tua vita. Ma mi ha trasmesso anche valori fondamentali come la lealtà, il merito, la solidarietà, il rispetto. Senza l’avversario non esisterebbe la competizione. Bisogna essere grati e rispettosi dell’avversario che è colui che ci spinge a dare il massimo e a migliorarci.

In lei alberga l’anima del campione Olimpico e quella da dirigente sportivo. Come convivono oggi queste due figure nel lavoro di tutti i giorni?
L’essere stato un atleta è un vantaggio per un dirigente sportivo. Mi ha aiutato a comprendere meglio le esigenze del mondo sportivo, delle atlete e degli atleti. Spesso mi sento ancora uno di loro, faccio fatica a togliermi la divisa. Però questo mi aiuta quando devo prendere una decisione importante. In quei casi mi chiedo: cosa avrebbe pensato il giovane Luca? Penso che non si debba mai perdere quello sguardo sul mondo che si aveva da giovani. Da ragazzo avevo una visione per il movimento paralimpico. Posso dire di aver lavorato sempre per realizzare quel sogno.

Di recente ha raccontato che prima della partenza per le Paralimpiadi di Seoul 1988, all’aeroporto vi chiesero se stavate andando in visita a qualche Santuario. Come si è evoluta da allora la cultura paralimpica in Italia?
In termini culturali un’era geologica! Un tempo ci si approcciava al mondo paralimpico solo con uno sguardo pietoso e compassionevole. Un pregiudizio che esiste ancora, sebbene marginalmente. In larga parte della società, però, è cambiata la percezione della disabilità. Ma c’è ancora molto da fare. Lo sport, da parte sua, in questi anni ha inviato un messaggio forte e universale, ossia che ciascuno – se messo nelle condizioni di esprimere le proprie potenzialità – può compiere imprese straordinarie. Penso che in qualche modo abbia contribuito alla crescita culturale della nostra società.

Le parole sono importanti, urlava Moretti. Molti pensano che il termine paralimpico faccia riferimento all’essere paralizzato, mentre il significato abbraccia una dimensione sportiva di uguale dignità. L’inclusione quindi comincia con la giusta comunicazione?
Certamente! Nel 2018, in occasione della prima edizione del nostro Festival della Cultura Paralimpica, consegnammo al presidente della Repubblica Sergio Mattarella – nostro grande e appassionato sostenitore – il dizionario Treccani con il nuovo lemma paralimpico/a. Il termine, così riformulato, è da intendersi non più come rivolto alle sole atlete o ai soli atleti che hanno preso parte a un’edizione dei Giochi Paralimpici, ma a tutte le persone con disabilità che praticano sport. Una rivoluzione semantica!

In questo modo si è scritta la parola fine alla brutta abitudine di aggettivare le persone con le proprie abilità (atleta sordo, cieco, amputato, in carrozzina etc.) unendo tutti sotto una parola nobile che richiama la piena dignità di ciascun individuo. Altroché se le parole sono importanti. Oggi la maggior parte dei giornalisti e delle giornaliste utilizza correttamente questo termine. Anche in questo modo si è contribuito alla crescita del movimento e, ne sono convinto, anche del Paese.

Si dice che “se è facile non è paralimpico”: grazie al suo lavoro e a quello del CIP, sono nate riforme che hanno contribuito e contribuiranno al cambiamento della percezione della disabilità e al riconoscimento della piena dignità. Come si affronta un momento di difficoltà in un percorso che mira ad abbattere ogni barriera e forma di discriminazione?
Intanto, come detto, bisogna avere una visione e sapere dove si vuole andare. Non è detto che i risultati arriveranno nei tempi e nei modi sperati. Ma io credo che una visione chiara, insieme a un serio lavoro di programmazione, prima o poi daranno frutti. Per ottenere l’ingresso delle atlete e degli atleti paralimpici all’interno dei Gruppi Sportivi dei Corpi Militari e Civili dello Stato, abbiamo atteso circa 20 anni. Alla fine, il risultato è arrivato e a beneficiarne saranno le nuove generazioni. Se ci fossimo fermati ai primi ostacoli oggi non saremmo arrivati a questo punto. E questa conquista non dà dignità solo alle persone con disabilità, ma segna un salto di civiltà per il nostro Paese.

Siamo nell’anno delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi. Sogni e speranze del gruppo azzurro (e di Luca Pancalli)?
Fare meglio di Tokyo, una delle edizioni più vincenti dell’epoca moderna – con 69 medaglie – è impresa assai complessa. Abbiamo però un gruppo forte e determinato che a livello internazionale ha continuato a raccogliere successi. Le proiezioni, ad esempio, ci dicono che la delegazione azzurra che prenderà parte ai Giochi di Parigi sarà, come molte probabilità, più numerosa di quella di Tokyo, la più grande di sempre. Speranze, come sempre tante. Ma sono molto scaramantico. Proprio per questo non faccio pronostici.

Quali sono gli obiettivi del Comitato Italiano Paralimpico per questo 2024 e quali le sfide future?
Sicuramente fare bene a Parigi. Ma l’auspicio più grande è che grazie ai Giochi Paralimpici – che quest’anno saranno trasmessi interamente su Rai 2 – tanti giovani con disabilità potranno avvicinarsi allo sport e trovare grazie ad esso nuovi stimoli e nuove emozioni.

Guardando indietro alla sua storia personale, c’è qualcosa che Luca Pancalli dirigente direbbe al Luca Pancalli atleta?
Grazie per ricordarmi ogni giorno chi sono stato e quali sono i miei compiti da dirigente.

Alley Oop compie 8 anni: quali sono le sfide che dovrà affrontare nel prossimo futuro in tema di diversità e inclusione?

Intanto consentitemi di farvi gli auguri di buon compleanno. Le sfide che ci attendono sono tante. Innanzitutto far sì che lo sport possa sempre più rappresentare un pezzo di politiche pubbliche del Paese e che si arrivi a somministrare lo sport come si fa con le terapie mediche. Prescrivere l’attività sportiva, come fanno in Francia o in Svezia, significherebbe supportare il servizio sanitario nazionale e allo stesso tempo regalare ai cittadini occasioni che non aiutano solo a migliorare la salute ma regalano anche preziosi momenti di socialità e di felicità.

Sarà importante anche adoperarsi affinché lo sport diventi sempre più un diritto esigibile da tutti, superando quelle barriere economiche, sociali e culturali che oggi impediscono a tante persone di accedere all’attività sportiva. E poi, in ultimo ma non per questo meno importante, vi è la necessità di diffondere la cultura sportiva all’interno delle scuole. In questi giorni è emerso un dato drammatico, ossia che in 6 istituti su 10 manca una palestra e che solo 1 istituto su 10 è accessibile. Bisogna invertire la tendenza. Ma la parte più importante della nostra mission è utilizzare lo sport per accendere i riflettori sul diritto alla piena cittadinanza delle persone con disabilità, anche e soprattutto per coloro che non potranno mai praticare lo sport perché con disabilità severe o severissime. In questo senso, come ha sottolineato il presidente Mattarella, vogliamo rappresentare un’avanguardia sociale del Paese a tutela delle persone più fragili.