I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono patologie complesse che richiedono cura e servizi assistenziali dedicati e continui, eppure ancora troppo spesso ci troviamo di fronte a una narrazione che rischia di farle percepire e considerare come disfunzionalità o addirittura mode culturali. Questo rischio è stato evidente nel momento in cui il Governo doveva rinnovare lo stanziamento dei fondi destinati al contrasto dei disturbi alimentari: il mancato rinnovo ha sollevato forti proteste e indignazione da parte dei professionisti del settore e dei loro pazienti, scesi in piazza in tutta Italia per chiedere di essere ascoltati. L’Esecutivo ha poi rapidamente corretto il tiro: ancora prima del 19 gennaio, data dell’appuntamento color lilla nelle piazze, è arrivata la notizia di un “Fondo straordinario” di dieci milioni da parte del ministro della Salute Orazio Schillaci, comprensiva di un ulteriore aggiornamento sui Lea (Livelli essenziali di assistenza).
La domanda che resta però è se la cura dei disturbi alimentari debba essere considerata come un evento straordinario, particolare o se forse si debba iniziare a comprendre meglio come affrontare quella che è una situazione difficile e dolorosa per pazienti e famiglie, ancora troppo spesso lasciati soli.
La difficoltà dell’accesso alle cure: mancanza di strutture e liste d’attesa
Abbiamo chiesto alla direttrice della Rete disturbi alimentari Usl 1 dell’Umbria, Laura Dalla Ragione, cosa ci lascia questa lunga fase di discussione legata al rinnovo ei fondi: “Sicuramente scontiamo ancora un grave ritardo culturale, che non riconosce ancora a queste patologie il fatto di essere a tutti gli effetti malattie psichiatriche. Vengono interpretate come mode culturali, come comportamenti a rischio. E non si è del tutto consapevoli che non esiste in letteratura un caso di remissione spontanea della patologia. Se non ci si cura non si guarisce, anzi si tende a peggiorare”.
L’iter della cura per un disturbo alimentare non è ancora chiaro per tutti ed è uno dei motivi per cui viene richiesto sempre più dialogo nelle scuole e negli spazi di informazione da parte delle associazioni. I passaggi sono molteplici e iniziano con un supporto terapeutico per prendere coscienza della propria malattia. Superato il successivo scoglio del ricevere una diagnosi adeguata, le liste d’attesa sono molto lunghe a causa soprattutto della scarsa o disomogenea presenza di centri specializzati sul territorio.
In proposito, come denunciato dalla direttrice Laura Dalla Ragione, “delle 126 strutture censite nel 2023 dall’Istituto superiore di sanità, il maggior numero dei centri (63) si trova nelle regioni del Nord (20 in Emilia Romagna e 15 in Lombardia), al Centro se ne trovano 23 (di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria), 40 sono distribuiti tra il Sud e le Isole (12 in Campania e 7 in Sicilia)”. Le malattie legate ai Dna (Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione) sono inserite nel Dsm-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) ma spesso presentano criteri molto restrittivi per essere diagnosticati, creando un ulteriore arco temporale che precede le cure. Si fa inoltre ancora fatica a spiegare la differenza tra anoressia, bulimia e sindrome da alimentazione incontrollata (binge eating o BED) proprio per un’errata associazione di come dovrebbe essere un corpo che soffre di un disturbo alimentare. I Dna sono ancora dei tabù dove è difficile fare una separazione tra “essere anoressico o anoressica” o “soffrire di anoressia”, al fine di evitare la creazione di uno status di malattia permanente associato ad un corpo necessariamente troppo magro.
L’importanza della continuità assistenziale e il nodo dell’utilizzo delle risorse
Come affermato dal ministro della Salute Schillaci alla Camera durante un Question Time sui nuovi provvedimenti, “ad oggi, dalle relazioni intermedie presentate si evince che le Regioni e le Province autonome hanno impegnato il 59% del finanziamento e speso solo il 3% del finanziamento complessivo”, una considerazione che esprime ancora di più la necessità di strutturare e ripartire al meglio i servizi assistenziali. Si parla molto di budget, ma è importante anche fare un punto su quali sono i progressi e le mancanze dell’ultimo anno. Se i 25 milioni fossero stati rinnovati in prima battuta, sarebbero stati “sufficienti” per la cura dei Dna? La direttrice Laura Dalla Regione spiega: “Ovviamente il fondo del biennio non è sufficiente per colmare lacune assistenziali molto grandi, soprattutto in alcune regioni, ma era un primo passo per cominciare a costruire spazi di cura pubblici specializzati. Certamente sono stati raggiunti risultati importanti: sono state assunte più di 700 operatori in tutto il territorio nazionale e attivati molti nuovi servizi. Inoltre sono state fatte campagne di formazione rivolte ai medici e pediatri, che costituiscono la prima stazione di intercettazione dei DNA”.
Al contrario, se il Governo non avesse fatto un passo indietro, oltre alla cancellazione del fondo avremmo assistito al blocco di una macchina sanitaria per operatori, professionisti, pazienti e persone in lista d’attesa per le cure. “Di fronte a un mancato investimento, il pericolo piu grande è che proprio nelle regioni più sguarnite, che hanno utilizzato i fondi proprio per attivare servizi ex novo, si ricrei la situazione precedente. Questa discontinuità assistenziale può essere devastante per i pazienti con un aggravamento delle loro condizioni generali, considerando anche che i Dna sono patologie che hanno bisogno di almeno due anni di terapia” puntualizza la direttrice. La mancanza di un piano strutturale, enunciata dal ministro Schillaci, richiede infatti un tipo di attenzione non solo da parte dei centri e degli operatori ma in primis da chi detiene un potere decisionale e politico per scorporare e investire le risorse messe a disposizione.
In cosa consistono il Fondo straordinario e l’aggiornamento dei Lea?
Il 1 aprile entrerà in vigore il nuovo Tariffario dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e sarà possibile accedere accedere a 16 nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale da concedere in esenzione per il monitoraggio e la prevenzione di complicanze collegate. Insieme al Fondo straordinario di 10 milioni, sono state annunciate ulteriori 16 prestazioni da introdurre entro il primo semestre del 2024, arrivando a un pacchetto totale di 32 prestazioni gratuite.
Sempre durante il Question Time alla Camera, Il ministro della Salute Schillaci ha dichiarato in maniera positiva che grazie all’entrata del nuovo nomenclatore tariffario e i nuovi aggiornamenti sui Lea, sarà garantita “la piena copertura finanziaria in modo strutturale per l’erogazione delle prestazioni a beneficio di tutti pazienti affetti da dca, rendendo di fatto non più necessario un qualsivoglia Fondo straordinario a carattere temporaneo che finora è stato sperimentato”.
Dai social alle piazze di tutta Italia per la cura dei disturbi alimentari
Subito dopo la notizia del mancato rinnovo del fondo, associazioni, reti ed enti (tra cui Animenta, Fondazione Fiocchetto Lilla e Chiedimi come sto) hanno attivato una mobilitazione nazionale completamente online che ha dato vita a più di 20 manifestazioni in quasi 30 piazze italiane. Avanzando striscioni come “I DCA non sono scelte” o “Ci state tagliando il futuro”, il 19 gennaio è stato messo un altro mattoncino a terra per attirare l’attenzione sulla problematica dei disturbi alimentari, che trova sempre più spazio sui social in contrasto a quella che viene definita la “diet culture”, ovvero cultura della dieta. Con questo termine si descrive un sistema di convinzioni tra cibi giusti o sbagliati, con una preferenza per i corpi magri e tonici associandoli ad un’unica visione possibile di salute. Attraverso reels e post dedicati, negli ultimi giorni i disturbi alimentari hanno trovato online uno spazio collettivo, nuovo e rivisitato che sfata il mito della disinformazione sui social, soprattutto per gli adolescenti.
Cosa fare se soffri di un disturbo alimentare
In Italia, circa 4 milioni di persone soffrono di disturbi alimentari e i dati Rencam regionali (Registro nominativo cause morte) riportano 4000 morti accertate all’anno (nella fascia di età compresa tra i 12 e i 25 anni secondo il Ministero della Salute). Se soffri di un disturbo alimentare non arrenderti, puoi curarti e uscirne. Come primo passaggio, richiedi una consulenza con uno psicoterapeuta specialista per una valutazione sul percorso più indicato da seguire, o parla con una persona che ti è vicina per prendere consapevolezza del problema e chiedere aiuto.
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