È notizia di questi giorni che si possono finalmente ammirare i reperti della più antica imbarcazione greca, una nave risalente all’VIII secolo a.c. ritrovata al largo di Gela. Pezzi di quel prezioso relitto, rimasti finora in una cassa dopo gli interventi di restauro terminati nel 2014, sono al centro di un’importante esposizione che dal 15 febbraio è ospitata nelle sale del Museo San Domenico di Forlì e vi resterà fino al 21 giugno. Il titolo è evocativo: “Ulisse. L’arte e il mito”. Oltre 250 opere, per un racconto eterno.
A parte la comprensibile e indubbia valenza del ritrovamento, c’è qui una restituzione ulteriore che riporta l’individuo del 2020 al cospetto dell’universalità.
Ma ragionando di mito, è fin troppo facile rendersi conto di come a quello si possa accedere anche altrimenti. Attraverso, ad esempio, la letteratura contemporanea. Se poi è per mano di uno degli scrittori più rappresentativi della modernità, la circostanza merita l’approfondimento.
È qui che il pensiero va a Berta Isla, un’opera moderna e senza tempo che bisognerebbe rileggere senza tentennamenti. Edito da Einaudi, nella collana Supercoralli, accolto in uscita con grande favore dal pubblico e dalla critica – «Babelia » di El País, fra tutti – questo romanzo è da annoverare probabilmente tra i più riusciti lavori di Javier Marías. E lui, del resto, è tra i migliori scrittori dei giorni nostri.
In realtà il recupero è esercizio nel quale bisognerebbe prodursi con sforzo. Scovare cose sorprendenti – non per forza dai fondali marini – è una probabilità affascinante che forse non contempliamo mai abbastanza, assorbiti come siamo dal vortice del nuovo. Se poi pensiamo ai libri, la certezza che non finiscano mai è di quelle che consolano.
E con in testa ancora la suggestione di quell’esposizione (che per stessa ammissione di Gianfranco Brunelli, suo curatore, pretende di essere “mostra di mostre”), con il racconto del viaggio impresso nella mente in quanto vicenda che ci appartiene tutti, non possiamo più esimerci dall’affondare nella dimensione di quel mito: la ricerca di Ulisse – che siamo noi, le nostre inquietudini, le nostre sfide, la nostra voglia di rischiare, di conoscere, di andare oltre – ci spinge a cercare con lui anche Penelope che di quella stessa narrazione è indubbiamente l’altra faccia.
Il giornalista, traduttore e filosofo madrileno, negli anni, ci ha abituati a pretendere moltissimo dalla sua produzione, basti citare “Domani nella battaglia pensa a me” (1994) o “Un cuore così bianco” (1992) e la più vicina trilogia “Il tuo volto domani” (2002-2007). Non si smentisce, Marías, non delude neanche in questa storia, la cui forza è tale da rubare il sonno.
Berta e suo marito Tomás sono due giovani borghesi e benestanti. Dopo il lungo fidanzamento, le nozze. Ma nella loro vita, immediatamente, non tutto va come parrebbe dover andare. C’è di mezzo l’attesa di lei e il viaggio di lui. E la certezza di conoscersi da sempre che fa presto a scontrarsi con un’inquietudine profonda. Una cortina di nebbia, oltre la quale si nascondono verità taciute che daranno il senso e la misura della loro unione, pervade le pagine. La menzogna è in fondo l’altro tema attorno al quale ruota tutto il romanzo.
Ma più che da Ulisse qui il lettore sembra infine attratto da Penelope. Il mito è tutto al femminile, insomma. Il ritratto di Berta è un dipinto perfetto. Viene fuori da tocchi impercettibili, come di pennello, una donna che ha deciso di rimanere accanto a un compagno che sa esserle estraneo e che tuttavia ama, per scelta. Ed ecco che questa è una Penelope moderna che si è forse finalmente emancipata da antichi stereotipi.
C’è un momento del libro che travolge. Lei a un certo punto, Tomás, lo perderà; e crederà definitivo un distacco che le indurrà uno stato di quiescenza. Ma in una maniera del tutto nuova, anomala. Berta non si negherà la vita nell’attesa. Ma vivrà, quell’attesa stessa. E lo farà con tutte le sue forze e nel pieno dei suoi sensi. La consapevolezza – anche nel voltarsi indietro – è forse la cifra di questo personaggio: “In quegli anni non me ne stetti ferma, non crollai, né mi paralizzai. Flirtai occasionalmente con la disperazione, ma non per gusto, bensì perché assale senza preavviso; non vi sprofondai, né mi passò mai per la testa di chiudermi in casa ad aspettare colui che non sarebbe mai tornato”.
Tratti netti ma insieme contraddittori, un’anima tormentata è quella di Berta. Marías glielo fa dire chiaro e forte, in un dialogo in bilico tra il reale e l’onirico, in quello spazio che la memoria si contende con l’oblio : “La tua vita si è fermata e la mia è andata avanti, ma senza molto senso”.
Una donna innamorata, perciò, ma una donna libera che tenta di decidere della propria sorte, che almeno ci prova. Una femminista, in un certo senso, diremmo. Di certo una Penelope a tratti antica e insieme però modernissima che smetterà di fare e disfare la tela per scegliere la vita, come avesse appreso la lezione di Laura Cima. Come avesse superato quello che la deputata che fu ai vertici della Commissione per le pari opportunità definisce il complesso di Penelope.
Lui, uno specchio rovesciato, è un Ulisse per sorte e per volere di altri.
La trama – come in tutta la produzione di Marías – è in grado di rapire. Un’umanità ben disegnata, personalità traboccanti che letteralmente straripano dalle pagine e rimangono in testa per giorni interi. Un viaggio intorno a ciò che è e a ciò che sembra.
Lo scrittore madrileno resta una scoperta, a un livello altissimo. Non ultima una notazione che ne accentua l’essere uomo del suo tempo: questo libro è un libro fortemente – e volutamente, aggiungerei – politico. Riflessioni che partono dalla narrazione e piombano nella vita di ciascuno di noi, in quella di tutti i giorni, interrogandosi (e interrogandoci) sui massimi sistemi: il potere, il popolo, la salute della democrazia moderna. Senza sconti, per nessuno. Un lavoro ricco dove non si intravedono sbavature. Di un libro così, spiace solo che a un certo punto debba finire.
Titolo: “Berta Isla”
Autore: Javier Marías
Editore: Einaudi
Prezzo: 22 euro