Donne di Design e di Architettura, storie di creatività e di passione

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Il filo rosso, che univa le 13 interviste di Donne di Design pubblicato nel 2017, continua idealmente a tessere un legame anche con questa nuova edizione del progetto in un continuum che va dalla storia del primo Dopoguerra a una nuova generazione di professioniste. Questa volta non solo design, ma anche architettura nelle storie che abbiamo raccontato in una miscela di saperi e di esperienze come in una tavolozza di colori che va dai toni caldi ai toni più freddi con tutte le tonalità intermedie. Si va così dalla copertina dei dischi disegnati dalla grafica americana Paula Scher al Memoriale della Shoah di Milano progettato da Annalisa De Curtis; dalle piccole illustrazioni in bianco e mero per il New York Times di Olimpia Zagnoli alla scuola costruita a Ponzano Veneto firmata da Alessandra Segantini e dal suo studio; dalle Creative Mornings a New York di Tina Roth Eisenberg (alias Swiss Miss) ai progetti in piccola scala di Giuseppina Grasso Canizzo in Sicilia.

E in questa tavolozza di racconti fra vita e professione si colgono tratti comuni, perché sono molteplici i fattori che contribuiscono a creare un’idea progettuale e si sovrappongono anche in discipline diverse. In molte storie ricorre il racconto di un role model che ha ispirato e influito sulle decisioni di una carriera: che sia un grande architetto come Marco Zanuso nel caso dell’architetta Luisa Bocchietto; un designer come Alessandro Mendini per la saggista Chiara Alessi; l’architetto Franco Minissi, conosciuto in particolar modo per la serra di Piazza Armerina, per Giuseppina Grasso Canizzo; la professoressa di storia dell’arte «straordinaria e appassionata» per Sonia Calzoni; oppure una zia svizzera ottantenne – la zia Hugi – nel caso della designer e imprenditrice Tina Roth Eisenberg. Mentor che hanno fatto la differenza e che sono (ancora) quasi tutti uomini, come a indicare un cambiamento storico, un passaggio di testimone che non è solo generazionale, ma in qualche modo anche di genere.

Alla disciplina dello studio e della formazione, ognuna ha unito la propria passione, spesso nata e “allevata” fra le mura domestiche con genitori aperti e curiosi che hanno gettato semi poi germogliati in professioni, come nel caso di Alessandra Segantini portata dalla mamma, che aveva frequentato l’Accademia delle Belle Arti a Venezia, a visitare le Biennali di Arte e Architettura di Venezia, la Guggenheim Collection, le Gallerie dell’Accademia, le chiese veneziane, le opere di Palladio. Per Cristina Celestino, invece, tutto è nato da una bobina di carta sottilissima regalatale nell’infanzia dalla madre su cui disegnava grandi poster che appendeva poi in camera. Per Swiss Miss, invece, l’ispirazione è venuta dalla figlia e ha dato vita a un brand di tatuaggi temporanei da un milione di royalties in pochi mesi. Mentre per Paula Scher la una produzione di oggetti illustrati è stata occasione di condivisione con il papà, proprio come ha fatto Olimpia Zagnoli, che grazie ai genitori ha incontrato anche Keith Haring.
Un intrecciarsi, quindi, di storie e carriere che ha come campo di gioco il mondo con Marva Griffin che arriva in Italia dal Venezuela, dove aveva studiato interior decorating, e regala al nostro Paese il Salone Satellite. Come Valeria Bottelli, che ha regalato, prima a Milano e poi ad altre città, il Muba, il museo dei bambini la cui idea è nata in un viaggio con i figli negli Stati Uniti. E sempre gli States sono la patria che ha dato i natali professionali a Olimpia Zagnoli e a Swiss Miss. Un mondo, quello dell’architettura e del design, senza confini da cui si importano e si esportano, senza soluzione di continuità, idee, saperi, esperienze e reti di contatti. Una rete, che nel caso di Luisa Bocchietto, è fatta di associazionismo con la presidenza prima ADI (Associazione per il Disegno Industriale) e poi nell’internazionale ICSID (International Council of Societies of Industrial Design.

Su tutto, però, prevale, quasi a sorpresa, una cifra di responsabilità sociale estremamente radicata e forte. Una coscienza del ruolo svolto all’interno della società in cui si vive e si opera. Tanto che ogni progetto non prescinde dall’impatto che può avere, come sottolinea Sonia Calzoni: «Costruire per me è anche impegno sociale, rispetto delle regole, del paesaggio, della natura e del territorio». Un sentire condiviso da tutte le architette intervistate, così come la capacità di una visione del futuro a cui è necessario tendere ma con radici ben solide da non perdere, per non rendere le città tutte uguali, Milano come Dubai.

Un progetto, questo di Donne di design e di architettura, che non si fermerà qui perché sono ancora molte le storie da raccontare a cui stiamo già lavorando. Storie di donne che inspiegabilmente, per quanto sembrino l’una distante dall’altra, geograficamente o anagraficamente, si toccano e si intrecciano anche solo idealmente. Ciò che sorprende alla fine è riuscire a tirare quel sottile filo rosso, che riesce a collegarle tutte. E che è un regalo per le nuove generazioni di professioniste che arriveranno.


Le interviste alle 12 professioniste sono contenute nell’ebook Donne di Design e di Architettura, scaricabile gratuitamente cliccando sulla foto qui di seguito.

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