Non sempre un “attacco” assertivo, prepotente e incisivo è il migliore. Ne è una dimostrazione il TedX “Quanto conta la cultura nelle nostre città?” che la dottoressa Valentina Montalto, ricercatrice specializzata in cultura e industrie creative, ha tenuto al Joint Research Centre della Commissione europea nell’ambito di TEDxVarese nel mese di marzo 2018. A chiederci di analizzarlo è stata proprio la stessa ricercatrice.
L’incipit a mia opinione è molto interessante: osservo una sospensione giusta, ”ben tenuta” e, a seguire, un attacco delicato, che mi sorprende piacevolmente anche perché in controtendenza. Siamo sempre più spesso “travolti” da professionisti della comunicazione che agganciano” il pubblico con un esordio prepotente, ponendosi persino con spavalderia: la dottoressa Montalto sceglie al contrario di essere una “voce fuori dal coro” che, anche per questo suo sapersi distinguere, risulta efficace.
In generale, noto pause ben dosate, un timbro sonoro accattivante che “cattura” e un ritmo espositivo calmo. Le mani sono rilassate, aperte e con i palmi verso l’alto, ad accogliere. Spesso nel parlare in pubblico si utilizzano le mani senza sapere come e dove metterle. Qui la scelta va sull’esporre i palmi bene in vista, e subito questo esprime limpidezza d’intenti e onestà (“non c’è nulla da nascondere”).
Non ci sono bruschi scatti, i gesti sono misurati; spesso partono dall’altezza dell’ombelico (immagine a ‘0”25) e questo è chiaramente espressione di stare in contatto con sé stessi e, contemporaneamente, di “volersi donare”, creando così connessione tra il nostro centro e gli altri. Tutto il corpo in generale si protende, stabilendo empatia, e coinvolge sia gli spettatori di destra che di sinistra con un uso consapevole dello spazio, benché l’azione sia oggettivamente limitata dalla piccola pedana su cui si svolge il Ted. I piedi sono alla stessa larghezza delle spalle, e questa posizione garantisce stabilità e scioltezza nei movimenti, esprimendo un ulteriore segnale di interazione fluida.
Come ho già avuto modo di scrivere, bastano solo 45 secondi per stabilire una “prima impressione” che sia positivamente efficace sugli altri; dopo può essere molto difficile recuperare. A me sembra che la modalità scelta per iniziare lo speech funzioni: ho desiderio di continuare a seguire il discorso.
Andando oltre la prima impressione, si nota come le emozioni (inevitabilmente presenti in una situazione complessa come quella di un Ted, che prevede tutta una serie di ostacoli quali, per esempio, la gestione di uno spazio circoscritto in un tempo limitato, l’incognita degli spettatori, la necessità di sintetizzare la propria esperienza e competenza etc.) rendano qui un buon servizio alla nostra protagonista. Esse infatti la accompagnano al giusto livello di intensità, senza sopraffarla; si manifestano “correttamente”, ovvero rivelando la loro presenza in maniera discreta e, soprattutto, sono le emozioni giuste per quella situazione.
Nel public speaking talvolta i problemi si verificano se subentrano emozioni di errata intensità (troppa timidezza, troppa preoccupazione..) o addirittura se subentrano le emozioni “errate” (ad es, in questo caso, ci poteva essere terrore al posto di un “sano” e normalissimo timore..). La dottoressa Montaldo, quindi, governa le proprie emozioni, e lo fa senza rigidità ma considerandole nella loro presenza e accettandole. Lo si vede osservando il suo volto in primo piano e ingrandendoo i dettagli si coglie costantemente la presenza di tutte le emozioni consone a questa circostanza, prima tra tutte la preoccupazione, l’apprensione. Questa, per esempio, si manifesta con le sopracciglia sollevate e lo sguardo abbassato, nonostante lo sforzo di controllarla: e proprio questo sforzo, unito a un tono della voce che a volte lascia percepire un tremolio, è ciò che rende la dottoressa Montalto umanamente imperfetta e quindi autentica.
Ma uno speech di oltre minuto condotto senza particolari cambi rischiava di cominciare a perdere forza. Al minuto 1.43 ecco però che succede qualcosa e arriva un gesto diverso, che spezza lo schema finora seguito; un gesto che, proprio a questo punto, sento essere più che mai “necessario”.
Mi soffermo spesso, nei miei incontri di public speaking, sull’importanza delle spezzature.. spezzature di gesti, di movimenti nello spazio.. ma anche spezzature nel ritmo, variazioni di tono.. Ritengo sia davvero fondamentale introdurre, di tanto in tanto, qualcosa di inatteso (a livello visivo e sonoro) che scuota gentilmente il pubblico e ne mantenga attivo l’ascolto: al minuto 1.43 si verifica esattamente questo, e funziona.
Forse l’inserimento di un numero maggiore di “spezzature “in tutto il Ted avrebbe potuto aiutare ulteriormente la dottoressa nel coinvolgimento della sua audience. Dopo questo primo gesto improvviso si deve infatti aspettare il minuto 3.49 per trovarne un altro, e ciò accade per un caso, non per uno studio a priori (subentra infatti un piccolo imprevisto – una slide che non parte – che costringe la nostra speaker a cambiare il proprio ritmo..)
Per i suoi prossimi interventi suggerirei quindi alla dottoressa di lavorare maggiormente sulla varietà e sull’imprevedibilità, introducendo sia a livello di body language che, in generale, nella sua modalità comunicativa, un qualcosa che “non ci aspettiamo”. Così come lavorerei maggiormente sulla direzione degli occhi per ottenere uno sguardo più diretto. Certamente, il fatto di parlare da una posizione più elevata a spettatori seduti, porta automaticamente la nostra protagonista a mantenere sempre uno sguardo piuttosto basso.
Ma ci possono essere due spunti su cui riflettere.
Primo spunto: i Ted Talks e la maggior parte degli interventi pubblici generalmente vengono poi divulgati on line; non esistono quindi solo gli spettatori presenti in sala ma un pubblico più ampio che, già nella fase di preparazione, si deve cercare di coinvolgere con un lavoro anche sullo sguardo, da sempre un mezzo potentissimo per questo scopo. A mia opinione si potrebbe quindi immaginare, in alcuni passaggi, anche uno sguardo “più aperto”, idealmente a favore di telecamera (sebbene dosato con estrema cura onde evitare l’effetto “Illuminazione ricevuta dall’Alto”!).
Secondo spunto: guardare in faccia le persone non sempre significa coinvolgerle. Nel Ted preso in analisi il contatto visivo resta un po’ sfuggente; apparentemente la speaker sembra guardare il suo pubblico ma non sempre lo “cerca”, o meglio, non ne cerca gli occhi persona dopo persona, una per una.
Quello che mi sento infine di indicare per mantenere e potenziare il coinvolgimento del pubblico riguarda l’ambito dell’articolazione. Non si considera mai abbastanza l’influenza dei problemi di tecnica vocale sulla prestazione, ma questi, invece, possono ridurre di molto la nostra efficacia, indipendentemente dalla competenza che abbiamo e dall’energia che sappiamo trasmettere.
Con una voce così naturalmente se-duttiva (proprio nel senso della dote innata di “condurre a sé”) con un timbro naturalmente caldo e con una presenza “d’impatto”, mi permetto di suggerire un lavoro più approfondito sull’articolazione in modo da superare – e senza molto sforzo – la leggera incertezza che qui riscontro sul gruppo consonantico “gl”. Con gli esercizi giusti questa piccola imperfezione in breve tempo potrà essere superata e sicuramente favorirà la giovane ricercatrice nel migliorare la propria performance, regalandole ulteriore fiducia in sé e nella qualità della sua esposizione.
Se vi interessa avere un parere sul vostro “stile” nel parlare in pubblico, potete inviare il link o un video all’indirizzo: alleyoop@ilsole24ore.com