Corridonia, quando tutta la colpa è degli immigrati

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Luca Traini ha 28 anni pochi soldi e molti problemi. Lo psichiatra che lo aveva in cura lo aveva definito una personalità “borderline”. Al limite, su quel ciglio pericoloso che separa la sanità dalla pazzia. Un equilibrio millimetrico su cui camminare faticosamente durante la vita. Ed è un attimo perderlo, l’equilibrio, per scivolare nel burrone della follia. Che è poi quello che è successo sabato 3 febbraio a Luca Traini, 28 anni ripartiti su 180 ottanta centimetri di muscoli e rancore. E razzismo, di quello vero, ignorante e rabbioso. E fascismo da rappresaglia delle Fosse Ardeatine: uno dei nostri 10 dei vostri.

Perché Luca Traini, 28 anni di miseria e anonimato, da cui aveva tentato di uscire alle scorse elezioni comunali di Corridonia (che, mica per caso è lo stesso comune dove ha sede la comunità di recupero da cui è fuggita Pamela, la ragazzina uccisa e fatta a pezzi, sembra da un immigrato africano, clandestino) candidandosi per la Lega ma non prendendo nemmeno il voto di un parente: Sabato mattina, pistola in pugno, ha tentato la paranza di africani, sparando con scientifica intenzione e pessima mira addosso ad almeno 6 di loro. E non lo ha fatto in un posto a caso: lo ha fatto proprio a Corridonia, e lo ha fatto pure nella strada dove viveva il ragazzo attualmente indagato per l’omicidio di Pamela. Finita la sparatoria, è salito in macchina per raggiungere il monumento ai Caduti di Macerata dove, come un avenger iperadrenalinico, si è legato al collo una bandiera col tricolore, ha fatto il saluto romano e sbraitato un immancabile: “Viva l’Italia”. Poi i carabinieri lo hanno sbattuto faccia a terra e lo hanno arrestato.

Fine di una giornata di ordinaria follia.

Anzi, no. Perché poche ore dopo questa mezza carneficina è arrivato, immancabile come l’emicrania il giorno dopo una sbronza, la dichiarazione del segretario della Lega che invece di tenere un profilo basso (per una volta) e stare zitto assumendosi quel pochino di responsabilità che il suo mantra “prima gli italiani” ha in questa storia di follia razzista, ha dichiarato: “La colpa è di chi ha riempito l’Italia di clandestini”. Sarebbe ridicolo se non fosse drammatico.

Non avranno avuto,invece, una parte in questa storia, le chiacchiere xenofobe e razziste che hanno riempito per anni le pagine dei giornali e i talk televisivi? Chiacchiere violente e rancorose che affiancano miseria intellettuale a miseria economica e, nei casi come questo, partoriscono leviathani di follia.

Che quella di Luca Traini sia stata una vendetta e lui si è improvvisato vendicatore spannometrico, alla ‘ndo cojo, cojo, tanto qualcuno lo cojo. Ha sparato verso una comunità che qualcuno gli ha insegnato essere responsabile del male nel suo Paese. Una comunità costituita di singoli individui che non hanno personalmente nessuna colpa della morte di Pamela, delle disgrazie dell’Italia e della fame di denaro e giustizia degli italiani.

Ma ormai sono anni che la quotidianità di certa politica lavora con puntigliosa precisione a sdoganare un messaggio secondo cui, a rimandare a casa chi sbarca da un guscio di noce, staremmo tutti meglio. E sarei davvero curiosa di vedere come motiverebbero l’identico disagio (dovuto ad anni di politiche scellerate che affondano le loro storiche radici a molti anni prima degli sbarchi del passato recente) in cui ci troveremmo a vivere anche senza migranti. Ma la fantascienza la lasciamo a Philip Dick, noi teniamo i piedi piantati nel presente. Che è orribile, che è il fotomontaggio su Facebook di Laura Boldrini sanguinante, accompagnato dalla scritta: “Sgozzata da un nigeriano inferocito, questa è la fine che deve fare, per apprezzare le usanze dei suoi amici”. Che sono i like che accompagnano quella foto. Che sono gli ambarabà cicci coccò delle colpe che sono sempre di qualcun altro. Perché la verità è che si ha sempre bisogno di qualcuno su cui buttare la croce della colpa di ogni male. E che quel qualcuno, in genere, è l’anello più debole della catena del potere: gente che non ha diritti e documenti, che vive ai margini perché non ha modo di entrare, che allunga la mano per chiedere perché non ha più niente da dare. Gente come i 6 feriti di Luca Traina, buoni da usare come carne da macello elettorale, perché tanto  il loro diritto è legato alla carità e quindi si può continuare a ignorarne l’esistenza, salvo ricordasene quando si devono racimolare voti.

La verità è che Luca Traina ha 28 anni di debolezza. E sono i deboli quelli di cui dobbiamo davvero avere paura: sono loro, con la loro testa vuota di cultura e di neuroni, che si aggrappano alla possibilità di un riscatto che si dà solo eliminando il ‘problema’. Sono loro che hanno lo stesso diritto di voto di chiunque altro a dover suscitare timore e indignazione: coi loro “viva l’Italia” e “prima gli italiani” e con il loro odio revanscista verso il diverso.