Lauree, master e curricula impeccabili a volte da soli non bastano a completare la figura del manager ideale che le aziende ricercano. A volte serve quel qualcosa in più che solitamente si scrive distrattamente in fondo al proprio cv e che molti decidono volutamente di omettere. Ma sempre di più, nelle aziende, per la ricerca di personale o per la crescita professionale dei manager all’interno del team, si guarda a doti ed esperienze che non sono scontate. Per esempio, alle esperienze sportive. Uno degli sport più utilizzati per individuare o per far emergere all’interno di gruppi aziendali figure manageriali? A sorpresa, la scherma.
“Nelle aziende alterniamo momenti di lavoro a momenti di sport” spiega Sergio Balzani, amministratore delegato di Psicosport, società che si occupa di gestire cambiamenti organizzativi in aziende italiane e multinazionali “perché atleta e manager, gruppo-squadra e gruppo di lavoro sono realtà affini, operanti in contesti fortemente competitivi, in cui il fattore umano e la capacità di sfruttare al meglio le potenzialità di rendimento rappresentano l’elemento differenziale per il raggiungimento degli obiettivi.” Ma se pensate alle classiche partite di calcetto, pallavolo o basket non centrate l’obiettivo.La scherma sembra essere lo sport più adatto a far emergere il manager di successo. “Perché nella scherma, prima ancora delle doti fisiche, contano cervello e abilità tecniche” – spiega il Maestro Marco Malvezzi, direttore tecnico della Pro Patria Scherma di Busto Arsizio ed ex membro dello staff tecnico della nazionale di fioretto (prima under 20 e poi assoluta) che è chiamato a mettere in pedana manager e professionisti più abituati a tenere in mano smartphone e mouse che fioretti o sciabole. “Quando lavoro con gli adulti in ambiti aziendali, individuo subito chi ha attitudini manageriali e, molto spesso, si tratta di persone che praticano sport o hanno praticato molto sport da piccoli” – sostiene Malvezzi.
Ma quali sono le capacità che possono essere sviluppate praticando la scherma e che possono aiutare in una futura professione soprattutto se iniziate da piccoli? “La prima è l’autocontrollo, che non è sempre una dote personale, ma una qualità importante che può essere allenata e stimolata. Imparare a dominare corpo e mente rafforza l’equilibrio psicologico dei bambini aiutandoli a crescere anche emotivamente” afferma Malvezzi. Se un bambino è in grado di controllare corpo e mente, sarà sicuramente agevolato nella gestione di interrogazioni a scuola, esami all’università e colloqui di lavoro senza troppo stress. La scherma, inoltre, è indicata per i bambini affetti da ADHA (sindrome da deficit di attenzione e iperattività) poiché accrescere la concentrazione e le competenze organizzative. La seconda è la velocità decisionale e di ragionamento”. I piccoli schermidori si esercitano innanzitutto ad avere riflessi pronti perché, in qualsiasi momento, devono essere in grado di ragionare velocemente sulla strategia di movimento da adottare. “Nei workshop aziendali la tecnica applicata è la stessa. Do ai manager le regole che sono alla base della scherma, poi però li faccio lavorare molto sulla velocità di ragionamento, anche di gruppo. Esercitare i riflessi aiuta ad analizzare i problemi e a prendere le decisioni adeguate. Il gruppo è un elemento importante del gioco. Molto spesso ed erroneamente, la scherma è considerata e vista dal grande pubblico come uno sport prettamente individuale. Ma in realtà ogni schermidore fa parte di un team e come tale è stimolato al lavoro di squadra, alla socializzazione e al senso di condivisione delle vittorie e delle sconfitte” – prosegue Malvezzi.
La scherma si pratica in pedana con una delle tre armi che caratterizzano le specialità dello sport: il fioretto, la spada e la sciabola. Ma non sono adatte a qualsiasi personalità. “Ogni atleta si riconosce, caratterialmente, in un’arma: la sciabola è tipica dell’estroverso, la spada del riflessivo e il fioretto dell’atleta più equilibrato. E capire e riconoscere le proprie attitudini e le proprie capacità fa parte di quel percorso di conoscenza del sé, dei propri punti di forza e debolezza che aiuteranno i bambini nelle decisioni importanti della futura vita personale e lavorativa”. E il ruolo dei genitori in questo cammino? Sospiro. Silenzio. “Da questo punto di vista tutti noi allenatori, di qualsiasi sport, siamo accomunati da un fattore comune: la figura del genitore-allenatore. Nel calcio di più. Nella scherma di meno. Ma solo perché le regole sono molto più tecniche”. Capisco che queste domande non vanno fatte a fine intervista e quindi non indago oltre. Perché, mi spiega il Maestro Malvezzi, la gestione del genitore-allenatore richiede tempo, pazienza e un allenamento specifico.