Forze armate: le soldatesse in missione fanno la differenza

herat

Era soltanto il 2000, quando le prime donne varcarono l’ingresso delle Forze armate. Seppur in ritardo rispetto agli altri paesi europei, l’Italia si è però contraddistinta per la rapidità con cui le donne hanno avuto accesso ai vari ruoli e ai diversi gradi.  A parte pochissime specialità: per esempio, le soldatesse ancora non fanno parte delle forze  militari speciali. E se i numeri ci dicono che la presenza femminile all’interno delle Forze armate è ancora bassa, intorno al 5%, la grande affluenza di candidate per l’accesso alle Scuole Militari è il segnale che in futuro la percentuale è destinata a crescere.

Di certo, la presenza delle donne ha ampliato la capacità delle Forze armate di operare in contesti dove il contatto con la popolazione locale rappresenta un tratto essenziale della missione. Le soldatesse, insomma, sembrano determinanti per i processi di stabilizzazione e ricostruzione, che sono la quintessenza delle missioni militari a cui l’Italia è chiamata a partecipare.

L’importanza delle donne nella cooperazione civile-militare emerge per esempio da uno studio condotto da Paola Sartori e Alessandra Scalia, ricercatrici dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) sulle attività del contingente italiano ad Herat, in Afghanistan, tra il 2005 e il 2016. “Le donne nelle missioni internazionali – l’esperienza italiana a Herat” racconta i successi degli italiani nel migliorare la condizione delle donne afghane all’indomani della caduta del regime talebano. Successi raggiunti grazie a un’intuizionie: tutte le iniziative rivolte alle donne della provincia sono state portate avanti esclusivamente dalle donne del contingente italiano.

I risultati? Notevoli: tra il 2005 e il 2012 il livello di istruzione femminile a Herat è passato dal 29% al 48%, ben al di sopra della media nazionale. Secondo il rapporto 2015 della Camera di Commercio e dell’Industria afghana, la partecipazione femminile al business e alle attività produttive in questa provincia nordoccidentale dell’Afghanistan si attestava intorno all’82,5%. Mentre le direttrici donne di dipartimenti governativi erano ben quattro, rispetto a una media del solo 7% a livello nazionale. Infine, il tasso di mortalità materna e infantile è significativamente diminuito. Le donne del contingente italiano hanno inoltre condotto alcuni progetti dedicati esclusivamente alla componente femminile della popolazione di Herat: come la promozione della coltivazione dello zafferano al poto di quella dell’oppio, o il corso per aspiranti giornaliste realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica.

Al di là del fortunato caso di Herat, in cui le energie delle soldatesse italiane hanno alimentato il miglioramento della condizione femminile in Afghanistan, la presenza delle donne nelle missioni internazionali sembra fare la differenza nella fase dell’inclusione e della ricostruzione post-bellica. Un’arma preziosa più utile e detreminante di qualsiasi testata nucleare, anche la più avanzata.