Conciliare sostenibilità, etica e affari, è una sfida che coinvolge sempre di più le imprese di tutti i settori industriali. Moda compresa. Alle aziende del settore tessile i consumatori chiedono, infatti, sempre più spesso di produrre vestiti “buoni” oltre che belli. Una consapevolezza che, unita all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale verso il tema del crescente impatto sociale e ambientale di questo business, ha spinto molte aziende a iniziare a fare qualcosa di concreto.
In quest’ambito si sta muovendo anche Benetton. L’azienda di Ponzano Veneto – che ha circa 8000 dipendenti in tutto il mondo, di cui 2500 in Italia – nel 2015 ha deciso di dotarsi di un Comitato di sostenibilità e ha chiamato a presiederlo Chiara Mio, docente di Pianificazione strategica e management della sostenibilità all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Condizioni di lavoro nelle controllate estere, ambiente, welfare: diversi gli ambiti in cui Benetton si sta confrontando.
Qual è l’impegno di Benetton nei Paesi in cui vengono prodotti i suoi capi?
Benetton cerca di adottare le migliori pratiche in termini di diritti umani e di condizioni di lavoro in tutta la sua filiera. A tutti i fornitori e subfornitori e a chiunque entri in affari con l’azienda, chiediamo di osservare i principi del Codice di Condotta del Gruppo.
Controllare davvero che cosa succede dall’altra parte del mondo non è però così scontato. Voi come fate?
L’azienda svolge degli audit che coinvolgono ciclicamente tutti i produttori di capi finiti, con controlli che si ripetono da un minimo di sei mesi a un massimo di due anni, a seconda dei risultati raggiunti. Nel corso di queste verifiche verifichiamo che nei luoghi di lavoro non si pratichi lavoro minorile o forzato, che non ci siano discriminazioni verso i dipendenti, che l’orario di lavoro e la retribuzione siano equi e che la sicurezza dei luoghi sia adeguata.
Le aziende di moda sono additate per l’inquinamento ambientale dovuto alle sostanze chimiche coloranti. Quali sono i protocolli di Benetton?
Benetton si sta impegnando per eliminare le sostanze chimiche pericolose in tutto il settore tessile entro il 2020. Per questo motivo, nel 2013 ha aderito al Detox Commitment promosso da Greenpeace e si è affiliata al gruppo internazionale Zero Discharge of Hazardous Chemicals (ZDHC). Inoltre si è impegnata a rendere progressivamente pubblici i dati sulle verifiche chimico-ambientali relative all’attività dei propri fornitori.
L’inquinamento del settore tessile è legato anche alla moda fast fashion, quella “usa e getta” che pesa sull’ambiente e crea enormi quantità di vestiti sa smaltire. È un aspetto che state affrontando?
In realtà vorremmo posizionarci come un brand di qualità che non produce capi che si mettono poche volte e poi si buttano via. Per questo motivo nei nostri negozi non c’è la raccolta dei capi usati. Cosa tra l’altro inutile visto che oggi i vestiti non sono fatti di un unico filato ma di tante fibre separate che non possono essere riassemblate. Noi invece stiamo lavorando proprio su questo: vestiti fatti con un unico filo che possa essere recuperare in un secondo momento.
Sostenibilità significa anche welfare aziendale. Che iniziative avete in Italia e all’estero?
In India – solo per fare qualche esempio – organizziamo corsi di inglese e di perfezionamento durante l’orario di lavoro. Inoltre offriamo a tutte le lavoratrici visite ginecologiche gratuite. In Italia, invece, nel 2015 è stato varato un piano di welfare aziendale che prevede, tra le altre cose, una copertura sanitaria per il dipendente e la sua famiglia, lo smart working e una serie di iniziative dedicate al bilanciamento vita-lavoro. Tra queste rientra, ad esempio, “Welcome back mom”, un piano per aiutare le neo mamme a tornare al lavoro e, soprattutto, a non abbandonarlo.
Come sta andando?
Al momento vi hanno partecipato 60 dipendenti e tutte sono rientrate al lavoro dopo il congedo con la stessa posizione lavorativa.
In occasione della giornata internazionale della donna avete promosso una campagna per la parità di genere in India. Non crede che ce ne sarebbe bisogno anche in Italia?
L’India è il secondo mercato di Benetton e un paese enorme che giocherà sempre più un ruolo fondamentale negli equilibri mondiali futuri. Questo però non significa che non ce ne sarebbe bisogno anche nel nostro Paese. Benetton vuole, infatti, affrontare questi temi anche in Italia e lo farà presto.