Linda Avesani è fondatrice e scientific manager; assistant professor al dipartimento di Biotecnologia dell’università di Verona, è responsabile dello sviluppo di prodotti innovativi. Roberta Zampieri, presidente, laureata in Agri-food Biotechnology, è responsabile della produzione di nanomateriali. Valentina Garonzi, ceo, laurea in Business Administration, gestisce il marketing e l’area finanziaria.
Un team femminile per una startup con base a Verona che indaga sulle malattie orfane di diagnosi, cioè responsabili di sintomi difficili da inquadrare correttamente. E la prima messa nel mirino è una malattia che, nove volte su 10, colpisce una donna.
L’innovazione sta nell’uso di virus vegetali: piccoli, compatti, robusti, e costano poco. Diamante, li ha inseriti in un kit per la diagnosi di una malattia rara, la sindrome di Sjögren, malattia infiammatoria cronica di natura autoimmune che colpisce centinaia di migliaia di persone nel mondo. Ci vogliono in media 4 anni di visite mediche e specialistiche per inquadrare sintomi spesso confondenti: con il kit la percentuale di Veronarisposta arriva al 98,8 per cento.
“Siamo da sempre state consapevoli che le startup richiedono inizialmente un enorme impegno di tempo, e risorse: abbiamo composto una squadra che unisse alla passione e alle competenze scientifiche quelle economiche e manageriali”, spiega Linda.
Il primo passo è stato il finanziamento ottenuto dal ministero dell’Università e della ricerca, 800mila euro legati al bando Firb legato proprio alla ricerca. Altri fondi per la stesura di un business plan sono arrivati dall’Europa. Questo è il passaggio più delicato: la ricerca di investitori che rendano possibile il passaggio al mercato del kit diagnostico, per il quale attualmente si stanno ottenendo le varie certificazioni. Destinatari del prodotto, che potrebbe essere disponibile per l’estate 2017, i laboratori di ricerca e di analisi.
Per il paziente nessun test invasivo: l’esame viene condotto sul sangue di un normale prelievo: “Il kit contiene un marcatore molecolare specifico, derivato appunto da un virus vegetale modificato. Un nanomateriale interessante, economico, che ha costi bassi iniziali e una lunga durata: potenzialmente si tratta di una tecnica applicabile ad altre malattie autoimmuni difficili da diagnosticare”, sottolinea Avesani.
In questo caso è stata usata una pianta della famiglia del tabacco, ma i possibili sviluppi della startup guardano molto oltre; il contesto è quello di una università che sostiene i suoi spinoff e di una città che, grazie anche ad azioni di marketing territoriale come To Be Verona, scommette sulle realtà ad alta tecnologia e innovazione, e promuove una azione di promozione del territorio veronese, a partire proprio dalla stessa città, per creare un sistema accogliente per la valorizzazione e lo sviluppo delle aziende.