Incoraggiare l’emancipazione femminile, sostenere la parità di genere, promuovere l’uguaglianza sociale, contribuendo così a una maggiore sostenibilità nei Paesi di coltivazione. Tutto in un caffè?
Il progetto è promosso dal Comitato di sviluppo Internazionale della SCAE – Specialty Coffee Association of Europe, cui partecipa attivamente anche la regione Friuli Venezia Giulia, terra di grandi aziende in questo settore.
Il Comitato è presieduto da Alberto Polojac, responsabile acquisti e qualità di Imperator, azienda triestina che da oltre 50 anni seleziona e importa caffè verde di qualità dalle migliori piantagioni al mondo. Per lavoro Polojac viaggia e seleziona i migliori chicchi: a coltivarli, per l’80%, è manodopera femminile, poco pagata e valorizzata visto che la parte a maggiore valore aggiunto della lavorazione del caffè avviene nei Pesi di destinazione. Ma se queste donne imparassero ad alzare la qualità, a svolgere loro stesse un lavoro di certificazione, allora anche il loro reddito – e quello delle famiglie che mantengono – migliorerebbe.
Il progetto ha in questi giorni una tappa fondamentale, con la seconda missione in Ruanda, in programma nella capitale Kigali dal 28 novembre al 2 dicembre 2016. Un viaggio e un corso di formazione rivolto esclusivamente alle donne operatrici nella filiera locale del caffè per aiutarle a migliorare le tecniche di coltivazione, acquisire maggiori conoscenze e competenze, contribuire alla crescita professionale e al riconoscimento del ruolo femminile, sia in ambito lavorativo che nella società locale.
La missione è co-organizzata dal NAEB – National Agricultural Export Developement Board, agenzia del Ministero dell’Agricoltura ruandese, nella cui sede saranno ospitati i corsi, e vede la collaborazione dell’International Trade Center, istituto che si occupa di consulenza e di assistenza alla produzione nell’ambito di progetti di cooperazione internazionale, e dell’IWCA – International Women Coffee Alliance, rete internazionale femminile specializzata nel sostegno alle donne e attiva nell’abbattimento delle barriere all’emancipazione femminile.
Circa 25 sono le donne partecipanti al corso. Formatori della missione saranno lo stesso Alberto Polojac, e due esperte del settore: Inyoung Anna Kim, professionista del caffè coreana che da anni svolge un prezioso ruolo di sostegno all’imprenditoria femminile nel caffè nell’Africa Centro Orientale, e Asli Yaman, esperta della Kimma Coffee Roasters di Istanbul. I tre formatori saranno affiancati da alcune operatrici ruandesi che hanno preso parte ai corsi della missione realizzata lo scorso anno. In particolare, il progetto formativo seguirà il programma internazionale SCAE riconosciuto e certificato Coffee Diploma System e consisterà di due moduli: Green (caffè Verde) e Sensory (abilità e analisi sensoriali).
“In Africa e in gran parte dei paesi produttori le donne svolgono gran parte del lavoro nelle coltivazioni – spiega Polojac – ma quasi mai rivestono ruoli di responsabilità: l’International Trade Center stima che il contributo femminile contribuisca al 70% del lavoro, ma solo il 10% veda un vero riconoscimento. Il progetto SCAE, quindi, vuole contribuire alla crescita personale e professionale delle donne coltivatrici, con l’obiettivo di renderle imprenditrici sempre più consapevoli, riconosciute e indipendenti. Il percorso, inoltre, contribuisce a diffondere maggiormente una “cultura del caffè” nei luoghi d’origine e di conseguenza a migliorare la qualità per il consumatore finale”.
La missione in Ruanda, che si inserisce nell’impegno di SCAE per una maggiore sostenibilità nell’industria del caffè, prevede la formazione sui seguenti aspetti: buone pratiche agricole; riconoscimento di problematiche per intervenire nelle fasi di raccolta, post raccolta e lavorazione; approfondimento sul “caffè verde”; analisi sensoriale (riconoscimento della qualità del caffè in tazza, distinzione tra “caffè buono” e “cattivo” indipendentemente dall’abitudine al gusto del caffè che abitualmente consumano in loco).
Il corso di formazione aiuta le donne ad adottare un metodo di coltivazione “sistematico” che garantisce una qualità alta e costante al prodotto finale, permettendo alle produzioni di venire certificate (ad esempio Utz o Rain Forest Alliance). Ciò consente di poter chiedere un prezzo maggiore per il caffè verde e di conseguenza di far avere un guadagno maggiore alle lavoratrici. In questo modo le donne possono assicurare maggior benessere alle loro famiglie e alla comunità dove sono inserite.