Volete più ragazze nelle facoltà scientifiche? Bandite dalle classi i poster di Star Trek e della serie tv Mystery Science Theater 3000, così come le chiacchiere su Dungeons & Dragons e avrete dei risultati tangibili. Parola di uno studio dell’Università di Washington, secondo il quale per attirare un maggior numero di ragazze nelle classi delle Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) non è sufficiente fornire loro maggiori opportunità di accesso a questo tipo di educazione. E’ necessario che cambino le culture di queste scienze, in modo da comunicare alle ragazze, che queste materie appartengono loro tanto quanto ai ragazzi.
In pratica, secondo i ricercatori, sostituendo ad esempio i poster in una classe da soggetti più ad interesse maschile a soggetti più “gender neutral” come la natura, si ha come risultato una maggiore partecipazione delle ragazze alle lezioni. A questo si somma il fatto che nell’immaginario alcune materie scientifiche, come la programmazione, la fisica o l’ingegneria a stereotipo si aggiunge stereotipo. Se da una parte le ragazze vengono considerate poco portate a certi studi, dall’altra gli esperti di queste materie vengono visti come nerd che passano il tempo a studiare o a programmare “sostenendosi con bevande energetiche e rinunciando alla loro vita sociale”. Modello, quest’ultimo, che non attira affatto le ragazze.
Insomma, in soldoni basterebbe cambiare gli stereotipi (e questo farebbe bene ad entrambi), ma soprattutto la cultura maschile (e spesso maschilista) degli ambienti. Ora, chi di noi non ha passato metà della riunione di lunedì scorso ad ascoltare le discussioni sull’eventuale esonero di Frank De Boer dall’Inter o le gesta dei colleghi nell’ultima gara in bici del fine settimana? Succede da sempre, forse già dalla medie. Alcune, per interesse vero o presunto, partecipano alle chiacchiere, altre lasciano correre annuendo come se si trattasse dell’argomento più interessante del momento e altre ancora vanno oltre (della serie “quando iniziamo a lavorare, chiamatemi!”). Ma le chiacchiere del lunedì non sono, poi, una barriera così insormontabile da scavalcare, a meno che non siano usate (consapevolmente o meno) per creare un legame di gruppo fra simili ed escludere i non-simili. E forse è anche ora che, noi per prime, cominciamo a trovare il modo per aggirarle, smontarle, integrarle o ignorarle. Non saranno certo un paio di poster di cascate e tramonti in spiaggia a cambiare le iscrizioni a Ingegneria o Fisica. Così come non sarà il parlare di arte o teatro a far sgretolare il soffitto di cristallo e ad aprirci le porte della carriera.
Tutt’altra cosa, invece, sono gli stereotipi. Ancora potenti e duri a morire. La scorsa settimana ho moderato un convegno sul tema investimenti nelle startup. Al momento del buffet si è avvicinato uno startupper per dirmi: “Complimenti per la preparazione, anche sui dati del settore. E’ raro sentire una donna parlare di numeri, visto che non sono una cosa per voi”. Gli ho appoggiato una mano sulla spalla, l’ho guardato con condiscendenza e ho esclamato: “Ma davvero siamo ancora a questo punto!”, lasciandolo lì. Lo startupper non avrà cambiato idea, ma almeno non ho dovuto ascoltare l’ennesima sequela di banalità “da spogliatoio” (direbbe Trump). Se smettessimo tutte di sorridere benevole anche di fronte a certe castronerie, forse alla terza almeno smetterebbero di dirlo, anche se non di pensarlo. Più che doverlo a noi, lo dobbiamo alle nuove generazioni, che, come dice Michelle Obama, ci guardano e ci ascoltano.