Chi non si ricorda, questa estate, le immagini delle donne musulmane in riva al mare, velate dalla testa alle caviglie? Il burkini delle arabe francesi ha sollevato un vespaio di polemiche: vietarlo sì, vietarlo no. Antiterrorismo e parità di genere da una parte, rispetto delle culture dall’altra. Il velo islamico è un segno di identità o un segno di sottomissione? Poi è arrivata la 22enne Noor Tagouri. E abbiamo capito che l’hijab può essere un simbolo positivo.
Le cronache dei giorni scorsi hanno dato ampio spazio a questa ragazza di origini libiche che vive negli Stati Uniti d’America e fa la giornalista. È stata la prima donna musulmana a comparire con l’hijab su Playboy. Potete aprire il link anche in presenza di bambini: Noor vi apparirà in versione aggressive ma perfettamente vestita. L’hijab non è l’unica cosa che indossa. Ma l’hijab è pur sempre il protagonista del messaggio che vuole lanciare: il velo può vivere accanto al giubbotto di pelle. Il velo, cioè, può essere simbolo di un’identità che può convivere con l’emancipazione e la parità.
L’hijab non segrega in sé. È l’uso che se ne fa dell’hijab, a decretare se è oppressivo oppure no. È quello che c’è sotto l’hijab, insomma, che conta. La battaglia per la parità delle donne arabe non passa necessariamente dal togliersi il velo. Passa dal togliersi ciò che il velo rappresenta. E soprattutto, sta nell’indossarlo per scelta, e non per imposizione. Esattamente come fa Noor.
Una recente ricerca di Ogyvly & Mather sui consumi della classe media emergente in Asia identifica proprio nelle donne arabe il segmento più interessante per i marchi occidentali che vogliono avere successo in questi Paesi. A questi brand però suggerisce di essere illuminati: se volete conquistare la classe media femminile, dovete puntare su messaggi di parità. Un esempio? C’è una marca di té indonesiano che ha appena cambiato la réclame: ha sostituito l’immagine di una donna che serviva una tazza di té al marito con quella di marito e moglie entrambi seduti, entrambi con una tazza in mano, che se la chiacchierano di come è andata la giornata. Marito e moglie alla pari, il fatto che la donna indossi l’hijab è passato in secondo piano.
Le foto di Noor su Playboy sono la miglior risposta che le donne arabe impegnate per l’emancipazione di sè stesse e dei loro Paesi potevano dare a quei ministri francesi che quest’estate hanno dichiarato guerra al burkini. Non guardiamo più le donne arabe per quello che indossano sulla loro testa, ma per quello che, nella loro testa, ci sta dentro.