La stepchild adoption, adozione del figlio della compagna o del compagno, non è rientrata nella legge Cirinnà, che riconosce le unioni civili. Dove il potere legislativo non è arrivato, o non ha voluto arrivare, è arrivato, invece, il potere giudiziario. Proprio oggi un nuovo pronunciamento: in una coppia omosessuale formata da due donne che si sono regolarmente sposate all’estero e che hanno avuto un figlio con la procrazione medicalmente assistita è legittimo attribuire a entrambe la qualità di madre e va quindi trascritto in Italia l’atto di nascita straniero. A stabilirlo è stata la prima sezione civile della Corte di Cassazione.
Per la Cassazione deve prevalere l’interesse del minore ad avere entrambi i genitori, in questo caso due mamme, perché, anche se non ci sono norme che regolano questi casi, non c’è alcun “divieto costituzionale” che preclude alle coppie dello stesso sesso “di accogliere e generare figli”. Con questo verdetto la Cassazione ha confermato, quindi, il decreto con il quale la Corte di appello di Torino, nel dicembre 2014, ha ordinato all’Anagrafe di Torino di trascrivere l’atto di nascita di un bimbo, nato in Spagna nel 2011 da una mamma spagnola che lo ha partorito e da una mamma italiana che le ha donato gli ovuli. Le due erano sposate in Spagna dal 2009. Dopo il divorzio, hanno chiesto la trascrizione dell’atto di nascita presso l’anagrafe italiana, ma il Tribunale di Torino l’aveva negata “perché contrastante con il principio di ordine pubblico in base al quale madre è soltanto colei che ha partorito il bambino”.
La Cassazione ha affermato: “La regola secondo cui è madre colei che ha partorito, a norma del III comma dell’art.269 del codice civile, non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicché è riconoscibile in Italia l’atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che lo ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola”.
In Italia una sentenza non fa giurisprudenza, ma di certo il pronunciamento della Cassazione crea un precedente per casi simili futuri. Forse il legislatore, piuttosto che lasciare la questione ad altro potere dello Stato, avrebbe dovuto avvocare a sé la regolamentazione di una materia tanto delicata. Lasciare che i cambiamenti culturali di questo Paese avvengano nelle aule giudiziarie e non in Parlamento è un segno di debolezza.